Il 2021 del servizio civile universale, tra conferme e cambiamenti

Dalla sperimentazione del “digitale”  e “ambientale” alle novità sull’accreditamento degli enti: ecco cosa è accaduto nell’anno che ha segnato il 20° anniversario del passaggio tra servizio civile obbligatorio e  volontario. Numeri, risorse e l’impatto della pandemia

leggi l’articolo di di Francesco Spagnolo su Il Redattore Sociale del 30 dicembre 2021

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Castagnetti: «La sinistra non può non vedere che il mondo è cambiato»

«Al di là dello spettacolo piuttosto deprimente che la politica oggi riesce a mettere in scena, ci sono attori di qualità soggettiva eccellente, anche se faticano a emergere».

«Globalizzazione e rivoluzione digitale hanno già cambiato la qualità antropologica delle nostre società e noi continuiamo a ragionare come se non fosse accaduto».

«La sinistra, a mio avviso, deve allargare l’orizzonte e guardare il mondo nuovo che ha cambiato i suoi equilibri, fra potenze e potenze, popoli e popoli, mercati e mercati, con effetti che ci investono».

leggi l’intervista di Gianni Cuperlo a Pierluigi Castagnetti su Il domani del 29 dicembre 2021

Luigi BobbaCastagnetti: «La sinistra non può non vedere che il mondo è cambiato»
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Onlus, Runts e 5 per mille: le risposte a otto dubbi

Grande l’incertezza sotto il cielo per le Onlus, che pure sono chiamate a decidere se iscriversi al Runts o se attendere, continuando a godere dei benefici fiscali previsti finché la Commissione europea si esprimerà su alcuni aspetti fiscali del nuovo Codice del Terzo Settore. Quando conviene attendere? E per chi migra nel RUNTS, in quale sezione è meglio iscriversi? E il 5 per mille? Davvero è a rischio? Ecco le risposte di Gabriele Sepio, avvocato tributarista e segretario generale di Terzjus

leggi l’intervista di Sara De Carli a Gabriele Sepio su Vita.it del 29 dicembre 2021

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Auguri di Buon Natale e felice anno 2022

Con i miei piu cari auguri di Buon Natale e felice anno 2022
Luigi Bobba

«Il Figlio di Dio, disceso dal Cielo sulla terra, sia difesa e sostegno per quanti, a causa di queste ed altre ingiustizie, devono emigrare nella speranza di una vita sicura»
Papa Francesco

 Adorazione dei pastori, Caravaggio, 1609, Museo Regionale Messina

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Dario Di Vico: “Il nuovo disagio ignorato”

Un editoriale di Dario Di Vico sul Corriere della Sera da leggere. Eccone qualche passaggio: il soggetto che per quantità degli interventi e qualità delle motivazioni rappresenta la maggiore novità è il terzo settore, capace di coltivare la sua identità non giocando «a specchio» contro la politica ma intermediando il bisogno delle persone. Perché dedichiamo al mondo del non profit un centesimo dell’attenzione e degli approfondimenti che riserviamo a uno sciopero generale di vecchio conio?

Nel dibattito che si è aperto dopo la proclamazione dello sciopero generale da parte di Cgil e Uil c’è chi, tra gli intellettuali della sinistra italiana, ancor più che applaudire alla piattaforma dei sindacati ha visto in quella decisione soprattutto il valore di un rilancio e di una nuova centralità del conflitto. Ossigeno puro, è stato scritto, rispetto al rischio di un soffocamento della dialettica sociale e, per esteso, della stessa democrazia. Ma davvero corriamo questo pericolo? Si può dire in assoluta coscienza che le società della seconda modernità si caratterizzino per un’assenza di conflitti e per una tendenza all’unanimismo? Credo proprio di no e non lo dico per un pre-giudizio politico di merito ma partendo dal riconoscimento che i fattori oggettivi di conflitto non solo restano in campo ma si allargano nella gamma e nella profondità. Sullo sfondo c’è la difficoltà nella distribuzione di risorse il cui limite quantitativo è ormai strutturale e che solo in questa fase di gestione dell’emergenza Covid è stato temporaneamente messo tra parentesi, grazie alla generosa spesa extra-budget dei governi. Ma se una volta, secondo la nota vulgata, il conflitto distributivo che si proiettava sul terreno politico era prevalentemente quello iscritto nella relazione capitale-lavoro, oggi sappiamo bene che le linee di faglia sensibili riguardano il peso contrattuale e le prospettive delle nuove generazioni, la partecipazione di genere, l’integrazione degli immigrati e, in primo luogo, l’utilizzo razionale delle risorse naturali del pianeta.

Di conseguenza più che piangere per la morte del conflitto l’operazione che la sinistra dovrebbe mettere in campo è quella di lavorare a una nuova mappatura delle contraddizioni sociali che aggiorni la vecchia. Non è un caso che almeno in due materie la gauche italiana si sia dimostrata impreparata e sia stata costretta a correre in affannoso recupero: la povertà assoluta e l’emergenza ecologica. Mentre è rimasta pervicacemente affezionata a una centralità del conflitto capitale-lavoro, nonostante nel frattempo quest’ultimo avesse trovato nel sistema delle relazioni industriali una buona regolazione.

(…)

In assenza di una cultura politica capace di rileggere la mappa dei conflitti della seconda modernità, di mitigare il sentimento di deprivazione relativa e in parallelo di affrontare i nodi irrisolti della giustizia sociale, ci sono rimaste solo le buone pratiche. Esperienze di massa che partono dall’interno della società, si muovono secondo nuovi modelli di mediazione del conflitto che non ricercano il potere di veto ma costruiscono quotidianamente soluzioni e valori di comunità. Una di queste fa riferimento al sistema delle relazioni industriali ma sicuramente il soggetto che per quantità degli interventi e qualità delle motivazioni rappresenta la maggiore novità è il terzo settore, capace di coltivare la sua identità non giocando «a specchio» contro la politica ma intermediando il bisogno delle persone e per questa via, come è accaduto durante la pandemia, arrivando a svolgere quella che Giuseppe Guzzetti ha definito come «una funzione di supplenza delle istituzioni». E allora perché dedichiamo al mondo del non profit un centesimo dell’attenzione e degli approfondimenti che riserviamo a uno sciopero generale di vecchio conio? Forse perché molti, compreso chi scrive, sono ancora legati a un antico paradigma del conflitto, prigionieri dell’idea che la sinistra abbia ancora un diritto di primogenitura, attratti dall’estetica delle contrapposizioni e restii ad ammettere che conflitto e giustizia sociale non sempre sono sinonimi.

Leggi l’articolo su Vita.it del 15 dicembre 2021

Leggi l’articolo integrale su Il Corriere della Sera del 15 dicembre 2021 

 

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Luca Jahier: “Piano d’Azione europeo per l’economia sociale: sarà la svolta?”

Un qualificato commento dell’ex Presidente del CESE, Luca Jahier, sul Piano d’azione europeo per l’Economia sociale della Commissione europea

Piano d’Azione europeo per l’economia sociale: sarà la svolta?

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Di Luca Jahier, già Presidente CESE 2018-2020

Brux, 14 dicembre 2021

“Ogni giorno, quasi 2,8 milioni di entità dell’economia sociale in Europa offrono soluzioni concrete e innovative alle sfide cruciali che stiamo affrontando. Esse creano e mantengono impieghi di qualità, contribuiscono all’inclusione sociale e nel mercato del lavoro dei gruppi svantaggiati e all’eguaglianza di opportunità per tutti, perseguono uno sviluppo economico e industriale sostenibile, promuovono la partecipazione attiva dei cittadini in seno alle nostre società, svolgono un ruolo rilevante nei sistemi di welfare europei e rivitalizzano le aeree rurali e spopolate”.

Con queste parole si apre il Piano d’azione per l’economia sociale, adottato dalla Commissione Europea lo scorso 9 dicembre. Un impegno atteso, previsto in modo esplicito nel Piano di azione per la messa in opera del Pilastro sociale dell’UE, adottato a Lisbona la scorsa primavera, ma soprattutto il coronamento di un percorso iniziato oltre dieci anni fa.

Dieci anni dopo il Social Business Act, siamo di fronte ad un documento di rilevanza strategica, che certifica un significativo salto di qualità nel riconoscimento della realtà e delle enormi potenzialità della multiforme articolazione dell’economia sociale in Europa e nel fissare le direttrici di una rotta per i prossimi dieci anni, pur essendo le principali misure in esso previste (complessivamente 38, di cui 10 di maggiore priorità) concentrate nel prossimo biennio.

Ad una lettura attenta, questo Piano è una svolta vera e così è stato salutato dalle reazioni di tutte gli attori interessati a livello europeo e da molti commentatori.

Principale richiesta della Conferenza di Strasburgo del gennaio 2014, a conclusione della più che prolifica (per l’ES) legislatura della Commissione Barroso, più volte ripresa e rilanciata con molte elaborazioni in documenti, conferenze, paper, azioni di Istituzioni Europee, Piattaforme e documenti del CESE e del Parlamento Europeo, il Piano è stato costruito su una vasta azione di consultazione delle Istituzioni UE, dei Governi, degli esperti, delle Rappresentanze sociali e di oltre 132 contributi specifici presentati nella procedura di consultazione formale, il Piano va persino oltre le migliori attese che si potessero avere.

Peraltro le tre principali proposte contenute nel contributo che Terzjus ha formulato nello scorso mese di aprile (quadro normativo, misurazione dell’impatto sociale e revisione in merito ad appalti pubblici e aiuti di Stato) sono riprese in modo praticamente completo nel Piano.

Questo non è un piano dedicato al consolidamento di un settore, nicchia solida e significativa, ma di fatto ancillare delle politiche pubbliche di welfare e di inclusione sociale e nel mercato del lavoro. Ma è il riconoscimento pieno delle sue potenzialità per il futuro delle politiche sociali e industriali dell’Europa, nel quadro trasformativo e di innovazione in cui siamo già immersi. Vorrei soffermarmi su tre aspetti di questo salto di qualità e delle sfide che vi sono sottese.

1. Il Piano presenta un approccio sistemico, che affronta i nodi strutturali dell’ES, in un innalzamento e allargamento della sua prospettiva di sviluppo, per essere parte traente delle sfide maggiori che l’Europa affronta nelle transizioni verso una economia sostenibile: ecologica, digitale, economia circolare e delle misure sociali di accompagnamento (fair transition). Questo chiede di focalizzarsi complessivamente sull’ Ecosistema che è necessario sviluppare e far crescere, a livello europeo, nazionale, locale e internazionale. Un Ecosistema che, pur tendendo in conto la grande diversità delle forme legali in cui si articola l’economia sociale nei 27 paesi europei, deve fare un necessario salto di qualità per consentire la creazione del quadro più appropriato per il loro sviluppo sostenuto, per esempio in materia di tassazione e di nuove forme di collaborazione transfrontaliera. Per questo, tra le azioni previste, la realizzazione di uno studio che mappi le diverse forme di riconoscimento o label delle forme dell’economia sociala, per identificare migliori pratiche e criteri comuni, anche in materia di tassazione. Con l’obiettivo di arrivare ad una Raccomandazione del Consiglio europeo sulle condizioni di sviluppo dell’ecosistema complessivo nel 2023. Analogamente si procederà alla revisione delle norme specifiche in materia di Aiuti di Stato e sull’allargamento delle possibilità di accesso agli appalti pubblici, che oggi rappresentano il 14% del PIL europeo. Questo per citare le principali misure a questo proposito, prima ancora di scendere nell’ampio numero di azioni per favorire e ampliare le opportunità di accesso alle molte opportunità di finanziamento già esistenti o che dovranno crearsi per coprire i gap già individuati.

2. Il secondo aspetto lo definirei così. Questo non è un piano per migliorare e rafforzare la già ampia, ricca e articolata strutturazione dell’ES e farle semplicemente conquistare nuovi spazi, in una società in trasformazione. Concentrandosi dunque allo sviluppo di misure e finanziamenti dedicati ad un settore da “proteggere” Ma è un piano che lavora molto di più sulle frontiere, sulle contaminazioni, sulle intersezioni, sulla generazione di ciò che non c’è ancora, sulla capacità di innovazione nel prendere il mare aperto della costruzione dell’economia europea di domani, delle sue forme industriali, di protezione sociale, di figure professionali e di partecipazione che ancora non immaginiamo, ma che verranno. Di raccogliere la imponente sfida trasformativa, cui i poteri pubblici, le imprese e il mondo del lavoro sono già chiamati, innestandovi la propria generatività specifica (cooperativa, mutualistica, partecipativa, dalla parte delle componenti più deboli delle nostre società, ecc.) Questo vale sia nei terreni più usuali (i rapporti con le pubbliche amministrazioni) che soprattutto nelle nuove frontiere dei rapporti con il mondo profit, con le imprese del mercato, con la finanza privata, con il mercato digitale, ecc. Per questo lo spostamento, di fatto, dalla relazione prevalente con il solo Pilastro sociale ad una logica che è altrettanto collegata alla nuova direttrice delle Politiche industriali dell’Unione europea, alla costruzione di network, alla nuova tassonomia della Finanza sostenibile, ad un maggiore coinvolgimento della Filantropia privata, allo sviluppo di meccanismi di raccolta di capitali sul mercato privato e co-investimento e così via. Tutti aspetti che richiedono anche uno sviluppo decisivo sia delle capacità di progettazione e gestione, che di metodiche adeguate e largamente condivise e adottate di misurazione dell’impatto sociale.

3. Tutto questo richiede una sfida non solo organizzativa e “imprenditiva” delle diverse organizzazioni, ma anche e soprattutto una sfida formativa. Adeguare e incrementare competenze, per lavorare su terreni inediti; entrare e generare alleanze nuove e oltre le proprie frontiere, anche in ambiti multilinguistici e multiculturali; essere in grado di sposare con decisione la logica di “impatto” delle politiche e degli investimenti e saperla misurare e confrontarsi con i risultati; saper interloquire con la sempre più ampia gamma di opportunità già esistenti nelle diverse linee di finanziamento europeo, ma anche recuperare il gap esistente, purtroppo, nell’essere un soggetto traente nella messa a terra di molti dei Piani di ripresa e resilienza degli Stati membri. Ecco la straordinaria sfida formativa e la necessità di un investimento senza precedenti sui quadri, dirigenti e operatori dell’economia sociale tutta. In questo non mancano gli strumenti e le azioni specifiche che il Piano già elenca, ma che sono soltanto uno stimolo ad una azione assai più diffusa e strutturata, che deve farsi negli Stati, nei territori e nei sistemi delle organizzazioni. Insomma, un investimento massiccio in formazione continua, anche con stage in altri paesi, è l’orizzonte con cui misurarsi.

Vorrei concludere dicendo che il Piano offre una strategia di vera svolta e di questo bisogna essere assai riconoscenti alla Commissione europea, a tutti coloro che ci hanno lavorato e al Commissario Nicolas Schmit che l’ha fortemente perseguita. Ma la svolta si svilupperà solo nei contesti nazionali, locali, delle organizzazioni e delle loro capacità di generare innovazione nelle frontiere, nei territori oggi sconosciuti e nelle alleanze, anche ardite. Così come nella capacità di rappresentanza e comunicazione. Altrimenti non ci sarà svolta, almeno non per parti significative delle organizzazioni attuali dell’economia sociale. Ma ne nasceranno di nuove, che occuperanno e svilupperanno questi spazi immensi. Perché questa rotta è quella necessaria per l’Europa post-pandemica e per quello che dobbiamo trasformare e costruire da qui al 2030 e oltre.

 

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Formazione e politiche attive del lavoro: pronto il Piano da 7,2 miliardi

Il decreto interministeriale (Lavoro-Mef) fissa le tre gambe del Piano che ha l’obiettivo di aggredire ritardi e nodi storici nel rapporto tra formazione e lavoro

Arriva il maxi piano del governo su formazione e politiche attive, che tra fondi comunitari del Pnrr e risorse nazionali potrà contare nel complesso su una dote di 7,2 miliardi di euro. L’obiettivo è coinvolgere tutti, dai giovani, con il decollo del sistema duale (600 milioni) ai disoccupati-cassintegrati (programma Gol da 4,9 miliardi tra Recovery Plan e React-Eu), fino ad arrivare ai lavoratori in servizio attraverso il Fondo nuove competenze, rifinanziato fino a 1,7 miliardi (1 miliardo da React Eu e 700 milioni dal decreto fiscale). (continua)

leggi l’articolo e guarda il video su Il Sole 24 Ore del 12 dicembre 2021

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Solidarietà, responsabilità, sussidiarietà e co-progettazione. Il welfare che riparte a Roma

13 dicembre 2021, ore 15.30 – 18,30 Sala Pia – Via Di Porta Castello 44, Roma

Solidarietà, responsabilità, sussidiarietà e co-progettazione
Il welfare che riparte a Roma

SALUTI E INTRODUZIONE AI LAVORI

Stefania Cosci, Vice Direttore del corso di laurea magistrale in programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali, Università LUMSA

Folco Cimagalli, Presidente del Corso di Laurea in Scienze del servizio sociale e del non profit, Università LUMSA

Paolo Ciani, Vice-Presidente Commissione Sanità Regione Lazio

Introduzione ai lavori del primo talk: “La Riforma del Terzo settore e il rapporto tra ETS e Pubblica Amministrazione”

Luigi Bobba – Presidente Osservatorio Terzjus

Ne discutono:

Felice Scalvini, ASSIFERO *In collegamento video

Barbara Funari, Assessora alle Politiche Sociali del Comune di Roma

Francesca Danese, Portavoce Forum Terzo Settore Lazio

Vincenzo Falabella, Presidente FISH

Anna Vettigli, Legacoop sociali Lazio

Modera: Sara Vinciguerra Responsabile Comunicazione Terzjus

Introduzione ai lavori del secondo talk: “L’inclusione sociale a Roma: povertà, diseguaglianza, solitudine e dipendenze giovanili”

Tonino Cantelmi – Presidente ITCI e Direttore dell’Istituto Don Guannella

Ne discutono:

Antonio Mazzarotto, Dirigente Area Famiglia, Minori e Persone Fragili, Regione Lazio *Da confermare

Roberto Zuccolini, Portavoce Comunità di Sant’Egidio

Lidia Borzì, ACLI Provinciali di Roma

Laura Paradiso, CROAS Lazio

Giuseppe Sartiano, Fondazione Roma Solidale

Modera:

Maria Rita Montebelli, Responsabile comunicazione scientifica Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma

Locandina pdf

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Luigi Bobba: “La luce dell’altruismo illumina i volontari”

Il 5 dicembre di ogni anno, secondo quanto sancito con la Risoluzione 40/212 del 17 dicembre 1985 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si celebra la Giornata internazionale del volontariato per lo sviluppo economico e sociale. Con questa giornata, i governi degli stati membri sono stati invitati a prendere misure per elevare la consapevolezza dell’importante contributo del servizio di volontariato, in modo da stimolare più persone di ogni condizione a offrire i propri servizi come volontari, sia nel proprio paese sia all’estero. Oltre a ciò, a sostegno di questo impegno, l’Assemblea Generale ha proclamato, con la Risoluzione 52/17 del 20 novembre 1997, il 2001 come Anno internazionale dei volontari e nel corso di questo periodo ha adottato una serie di raccomandazioni sulle modalità attraverso cui i governi nazionali e il Sistema delle Nazioni Unite potrebbero sostenere lo sviluppo del volontariato e ha domandato che fosse data larga diffusione a queste raccomandazioni. Interris.it, in merito a questa giornata e all’importanza del volontariato ha intervistato Luigi Bobba già presidente nazionale delle Acli, parlamentare e sottosegretario al Lavoro, ora presidente di Terzjus, di Enaip Mozambico e del Comitato Global Inclusion. (continua)

leggi la mia intervista su Interrsi.it del 

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Luigi Bobba: “Nel Trattato Italia-Francia il Servizio civile”

Sono felice che il seme gettato più di cinque anni orsono – e rimasto infruttuoso per le alterne vicende politiche dei governi di Italia e Francia – abbia trovato piena e più autorevole consacrazione in un vero e proprio trattato di rafforzamento della collaborazione tra i due Paesi

“Nel quadro del Servizio civile universale italiano e del servizio civile francese e sulla base di una cooperazione tra le agenzie e gli enti governativi incaricati della gestione dei due programmi e delle opportunita’ di mobilita’ giovanile, le Parti istituiscono un programma di volontariato italo-francese intitolato servizio civile italofrancese. Esse esaminano la possibilita’ di collegare questo programma al Corpo europeo di solidarieta’”.

È quanto si legge all’art.9 del “Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata tra Italia e Francia firmato oggi al Quirinale. Parole che rievocano chiaramente la dichiarazione di intenti – siglata dal sottosegretario Sandro Gozi e dal sottoscritto, in quanto titolare della delega sul Servizio civile durante il Governo Renzi, – nel corso dell’incontro bilaterale tra i due governi tenutosi a Venezia l’8 marzo del 2016. I due Paesi – recitava la dichiarazione di intenti del 2016 – “favoriscono il rafforzamento della loro collaborazione nel settore del servizio civile” e a tal fine “intendono sviluppare un progetto pilota sperimentale per la mobilita’ dei giovani nel quadro del Servizio civile, basato sui valori di liberta’ e democrazia negli ambiti della solidarieta’, del sostegno ai rifugiati…..”. Il documento ipotizzava che il progetto coinvolgesse 100 giovani volontari – 50 per ciascuno dei paesi – in modo da realizzare un esperimento di servizio civile bi-nazionale come primo passo verso una sorta di Erasmus del Servizio civile.

Sono felice che il seme gettato piu’ di cinque anni orsono – e rimasto infruttuoso per le alterne vicende politiche dei governi di Italia e Francia – abbia trovato piena e piu’ autorevole consacrazione in un vero e proprio trattato di rafforzamento della collaborazione tra i due Paesi. Allora si era fatto fatto un lungo lavoro di preparazione con il Ministro per le citta’, la gioventu’ e lo Sport del governo francese, Patrick Kanner ; e quel lavoro – rimasto incompiuto – ha ispirato sicuramente la scrittura dell’art. 9 del Trattato firmato oggi al Quirinale.

Va pure osservato che l’auspico di un Erasmus del servizio civile – evocato nel 2016 -si e’ poi tradotto, almeno come primo passo, nel Corpo europeo di solidarietà , viene opportunamente richiamato nell’odierno trattato, come la cornice entro cui inquadrare questo “servizio civile italofrancese”. La sfida ora sta nel far seguire alle parole anche i fatti e, in tale prospettiva, una quota delle risorse aggiuntive del PNRR – 600 milioni per il servizio civile – potrebbero essere indirizzate a tale scopo. Sara’ altresi importante, – come gia’ si scriveva nel 2016 – che tale originale esperienza sia accessibile proprio per i giovani meno favoriti e che diventi effettivamente uno strumento per promuovere e rafforzare tra le nuove generazioni sia la coscienza europea sia la inderogabile necessita’ di costruire non muri ma ponti.

articolo di Luigi Bobba su Vita.it del 26 Novembre 2021

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