Il Primo Maggio “battezzato”
di Sara Simone e Luigi Bobba
«Mettere tonaca e berretta al “Primo Maggio”». Questa l’accusa che, a metà degli anni cinquanta del XX secolo, veniva mossa ai lavoratori riuniti nelle Acli, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, organizzazione che in quegli anni assunse non solo una funzione di mediazione culturale, ma di spinta profetica e popolare, proprio sul tema del Primo Maggio.
Dalle Acli così rispondevano:
Si è preteso di fare del Primo Maggio una festa marxista; esso non è nato in camicia rossa. È nato nella lontana America, in ambienti e tra uomini non solo refrattari ma ostili al comunismo: è nato come affermazione del diritto del lavoratore ad un orario meno massacrante, a migliori condizioni per la sua opera. Ed ha continuato a simbolizzare le rivendicazioni degli operai e dei contadini. Soltanto più tardi i comunisti hanno tentato di appropriarsene.
A quel tempo le Acli avevano una loro festa del lavoro – il 15 maggio, giorno della promulgazione nel 1891 dell’enciclica sociale Rerum Novarum di papa Leone XIII – in concorrenza con il Primo Maggio, celebrato in seguito alla deliberazione del congresso di Parigi della Seconda Internazionale il 20 luglio 1889. In quell’occasione si era proposto di organizzare una manifestazione simultanea in una data stabilita, uguale per tutti i paesi e città, in tutto il mondo, durante la quale i lavoratori potessero chiedere alle pubbliche autorità di contenere per legge entro le otto ore la giornata lavorativa. Come data era stata scelto il Primo Maggio, a memoria della grande manifestazione operaia che tre anni prima, il 1° maggio 1886, a Chicago, era stata repressa nel sangue. Le azioni contro le lotte dei lavoratori che tra il 1867 e il 1887 colpirono Chicago e l’Illinois, avevano generato un moto di grande solidarietà internazionale e internazionalista.
Un Primo Maggio per i cattolici
Risultava difficile per i cattolici trovarsi a proprio agio nei confronti del sindacalismo ispirato dal marxismo, che parlava di lotta di classe e considerava la chiesa fra le forze reazionarie da combattere, senza spazi di mediazione. Fin dai primi anni del novecento il movimento cattolico si confrontava con il sindacalismo socialista e cercava spazi di alterità, tentando di contrastarne la pretesa esclusività sulla festa del Primo Maggio. Quel sano confronto ideale, dagli indubbi risvolti politici, era stato interrotto dal fascismo con la proibizione della celebrazione del Primo Maggio: nel ventennio il festeggiamento dei lavoratori fu anticipato al 21 aprile, per farlo coincidere con il Natale di Roma.
All’indomani della “liberazione” del 25 aprile 1945, il Primo Maggio diventerà in Italia festa di partigiani e lavoratori, di anziani militanti e giovanissimi con nessuna memoria di quella festa, salvo ritrovarsi tutti insieme nelle piazze in un clima di grande entusiasmo. Appena due anni, e il Primo Maggio del 1947, si verificherà in Sicilia la strage di Portella Della Ginestra, vicino Palermo, dove gli uomini del bandito Giuliano fanno fuoco sui braccianti che assistono al comizio, uccidendo 14 lavoratori.
Pur se a fatica, le manifestazioni promosse dalla compagine cattolica riusciranno in alcuni territori ad avere un certo successo e partecipazione degna di considerazione, talora quasi in grado di controbilanciare quella dei movimenti socialisti. Un caso significativo divenne quello dell’area bresciana, dove i gruppi di lavoratori cattolici erano fortemente radicati sul territorio, in particolare nelle campagne e nei borghi rurali.
Se la città resta sotto l’egida delle forze di ispirazione socialista, in provincia si afferma un Primo maggio “cattolico” che abbandona ogni riferimento alla dimensione del conflitto: la festa di “tutti i lavoratori” celebra la collaborazione, lo sviluppo ordinato, la concordia tra le classi.»
Non durò troppo a lungo questo tentativo di instaurare una pacifica convivenza. «Di lì a qualche decennio, tali divisioni di fondo sarebbero diventate vere e proprie fratture, segnando la storia del sindacalismo italiano».
Negli anni cinquanta, il Primo Maggio subisce l’influenza del nuovo quadro politico: terminata l’alleanza tra i tre partiti di massa (Dc, Pci e Psi) e De Gasperi, si avvia la nuova fase dei governi centristi con l’appoggio della destra parlamentare: una frattura che coinvolge anche il fronte sindacale e la festa dei lavoratori, che diventa terreno di scontro, un’occasione per misurare i rapporti di forza.
Sarà merito delle Acli se, a partire dal 1955, il mondo cattolico si sarebbe aperto alla festa dei lavoratori, sentita fino ad allora come tradizione prevalentemente “socialista”, apportandovi il contributo originale della cultura cristiana. In quell’anno si calcolavano in 65, le ricorrenze del Primo Maggio, dalle quali i lavoratori cristiani si erano per lo più tenuti in disparte.
Già il 1° maggio 1954 un piccolo gruppo di aclisti, in vista dell’anno in cui ricorreva il decennale dalla fondazione delle loro associazioni, aveva partecipato alle manifestazioni dei lavoratori a Roma; l’anno dopo, le Acli erano pronte a lanciare il loro “Primo Maggio cristiano” con il motto: «Con Cristo per la classe lavoratrice». I lavoratori cattolici si riunirono a Roma giungendo da tutta Italia: trenta treni speciali erano stati approntati per l’occasione e oltre 2500 pullman portarono nella capitale una colorata folla in costumi folcloristici rappresentanti dei territori di provenienza o in abiti da lavoro, con vessilli, bandiere, cartelli e striscioni.
Svettava un grande globo di cartapesta attraversato dalla scritta «Lavoratori di tutto il mondo unitevi nell’insegnamento di Cristo», che declinava dal punto di vista cattolico il motto socialista per eccellenza, «Proletari di tutti i Paesi, unitevi!», derivato dalla chiusa del Manifesto del partito Comunista del 1848. Il cardinale Adeodato Giovanni Piazza celebrò la messa del mattino per tutti gli aclisti convenuti in piazza del Popolo, dall’altare allestito su una grande incudine: scelta di forte impatto simbolico. Nel pomeriggio, una delegazione delle Acli depose una corona sulla tomba del Milite Ignoto e poi il corteo si mosse verso il Vaticano. Durante l’udienza pontificia organizzata in piazza san Pietro per l’occasione, papa Pio XII annunciò l’istituzione della festa liturgica di san Giuseppe artigiano, proclamato protettore dei lavoratori. Erano più di 200.000 gli aclisti convenuti a Roma per l’occasione, accompagnati da un gruppo di vescovi, tra i quali Giovanni Battista Montini, al tempo arcivescovo di Milano.
Ecco le parole che Pio XII pronunciò quel Primo Maggio, parlando alle Acli:
Fin dalle origini, Noi mettemmo le vostre associazioni sotto il potente patrocinio di san Giuseppe. Non vi potrebbe essere infatti miglior protettore per aiutarvi, per far penetrare nella vostra vita lo spirito del Vangelo. Come invero allora dicemmo, dal cuore dell’Uomo-Dio, Salvatore del mondo, questo Spirito affluisce in voi e in tutti gli uomini, ma è pure certo che nessun lavoratore ne fu mai tanto perfettamente e profondamente penetrato quanto il padre putativo di Gesù, che visse con lui nella più stretta intimità e comunanza di famiglia e di lavoro. Così, se voi volete essere vicini a Cristo, noi anche oggi vi ripetiamo: Ite ad Joseph Andate da Giuseppe!
Sì, diletti lavoratori, il papa e la chiesa non possono sottrarsi alla divina missione di guardare, proteggere, amare soprattutto i sofferenti, tanto più cari quanto più bisognosi di difesa e di aiuto, siano essi operai, o altri figli del popolo. Questo dovere e impegno, noi, vicario di Cristo, desideriamo di altamente riaffermare, qui, in questo giorno del Primo Maggio, che il mondo del lavoro ha aggiudicato a sé come propria festa con l’intento che da tutti si riconosca la dignità del lavoro e che questa ispiri la vita sociale e le leggi, fondate sull’equa ripartizione di diritti e doveri.
Concludeva Pio XII:
In tal modo – accolto dai lavoratori cristiani e quasi ricevendo il crisma cristiano -, il Primo Maggio, ben lungi dall’essere risveglio di discordie, di odio e di violenza, è e sarà un ricorrente invito alla moderna società per compiere ciò che ancor manca alla pace sociale. Festa cristiana, dunque, come giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani nella grande famiglia del lavoro. Affinché vi sia presente questo significato, e in certo modo quale immediato contraccambio per i numerosi e preziosi doni, arrecatici da ogni regione d’Italia. Amiamo di annunziarvi la nostra determinazione di istituire – come di fatto istituiamo – la festa liturgica di san Giuseppe Artigiano, assegnando ad essa precisamente il giorno Primo Maggio.
Con enfasi Dino Penazzato, l’allora presidente delle Acli, definì quel giorno «il grande battesimo cristiano del Primo maggio». Il discorso di Pio XII ricordò quando la Chiesa aveva ufficialmente riconosciuto le Acli, nell’udienza dell’11 marzo 1945, ponendole sotto il patrocinio di san Giuseppe, indicato come figura esemplare per i lavoratori cristiani. Le Acli fecero sfilare davanti al pontefice i simboli del lavoro dell’uomo, in un clima di solennità, per quella che era una giornata memorabile per la storia dell’associazione.
In polemica rispetto all’anticlericalismo diffuso in quegli anni di dure lotte operaie e di aspre polemiche che dividevano le associazioni sindacali italiane, le Acli erano incoraggiate dal pontefice a perseverare nel loro attivismo, purché rimanessero fedeli al servizio della causa cattolica e entro gli insegnamenti dottrinali della Chiesa.
Il pontefice ammoniva:
Da lungo tempo purtroppo il nemico di Cristo semina zizzania nel popolo italiano, senza incontrare sempre e dappertutto una sufficiente resistenza da parte dei cattolici. Specialmente nel ceto dei lavoratori esso ha fatto e fa di tutto per diffondere false idee sull’uomo e il mondo, sulla storia, sulla struttura della società e della economia. Non è raro il caso in cui l’operaio cattolico, per mancanza di una solida formazione religiosa, si trova disarmato, quando gli si propongono simili teorie; non è capace di rispondere, e talvolta persino si lascia contaminare dal veleno dell’errore.
Contro l’«umanesimo laico» e il «socialismo purgato dal materialismo», la Chiesa appoggiava il programma delle Acli «che esige la partecipazione effettiva del lavoro subordinato nella elaborazione della vita economica e sociale della Nazione e chiede che nell’interno delle imprese ognuno sia realmente riconosciuto come un vero collaboratore». Era l’occasione per dare una nuova prospettiva alla festa dei lavoratori:
Questo dovere ed impegno noi, vicario di Cristo, desideriamo di altamente riaffermare, qui, in questo giorno del 1° maggio, che il mondo del lavoro ha aggiudicato a sé, come propria festa, con l’intento che da tutti si riconosca la dignità del lavoro, e che questa ispiri la vita sociale e le leggi, fondate sull’equa ripartizione di diritti e di doveri.
Il Primo Maggio veniva così “consacrato”:
In tal modo accolto dai lavoratori cristiani, e quasi ricevendo il crisma cristiano, il 1° maggio, ben lungi dall’essere risveglio di discordie, di odio e di violenza, è e sarà un ricorrente invito alla moderna società per compiere ciò che ancora manca alla pace sociale. Festa cristiana, dunque; cioè, giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani della grande famiglia del lavoro.
Anche L’Osservatore Romano diede ampio spazio agli eventi di quella giornata titolando in prima
pagina: Il Sommo Pontefice alle Acli e ai lavoratori di tutti i popoli. La presenza di Cristo e della Chiesa nel mondo operaio – Il 1° Maggio solennità cristiana. Alla notizia furono interamente dedicate tre delle sei pagine dell’edizione del giorno, una delle quali completamente occupata dal racconto fotografico dell’evento.
L’eco di quanto era avvenuto in piazza San Pietro trovò ampio spazio sulle pagine di tutti i quotidiani nazionali. Anche Avanti! diede una sua lettura di quello che veniva comunque interpretato come un positivo riconoscimento che tutti i lavoratori, in fondo, erano uniti nelle loro aspirazioni di giustizia sociale: nei cartelli e striscioni che gli aclisti esponevano «risultava chiaramente come in alcun modo le esigenze, le istanze che pongono i lavoratori cattolici, siano diverse da quelle che, in un’altra piazza di Roma, avanzavano gli altri lavoratori nel comizio della Cgil».
Il punto di vista del mondo degli industriali era diverso e vedeva nel Primo Maggio delle Acli la volontà di porsi come linea distinta e alternativa rispetto a quella socialista. Il Giornale d’Italia, in
quegli anni di proprietà di Confindustria, riportava le dichiarazioni degli «ambienti direttivi» delle Acli, che presentavano la manifestazione romana come un segnale dell’attivismo cattolico in prima linea nella difesa degli interessi e dei diritti dei lavoratori, sfilando alle «forze marxiste» il monopolio sul mondo del lavoro.
Non a caso l’attività delle Acli venne posta sotto la protezione di san Giuseppe, figura che doveva essere di esempio non solamente come lavoratore operoso e sollecito sostegno della famiglia, ma anche per le sue virtù di pazienza, mitezza, umiltà. Un modello che voleva contrastare quelli che su altri fronti erano i richiami allo scontro duro e alla “lotta di classe”, dai quali la chiesa tentava di tenere lontani e distinti i lavoratori cattolici.
La verità è che, con la manifestazione del Primo Maggio 1955, tenutasi prima in piazza san Pietro con la celebrazione dell’Eucarestia e poi in piazza del Popolo con una grande adunata popolare con più di 50.000 persone, le Acli avevano stabilito che il lavoro – la sua difesa e promozione – non era monopolio della tradizione socialista e successivamente anche di quella comunista, ma trovava piena legittimazione nella dottrina sociale della chiesa e nelle molte opere che le stesse Acli promuovevano per elevare le condizioni di vita della classe lavoratrice.
Due dedicazioni e una statua
In quanto al contenuto strettamente liturgico del Primo Maggio religioso, non furono le Acli a scegliere di dedicare la festa a san Giuseppe. Per rimarcare la concezione cristiana del lavoro, la figura di riferimento individuata dagli aclisti era stata quella di Gesù negli anni giovanili, quando a Nazareth condivideva con Giuseppe, padre putativo, la dimensione quotidiana del lavoro di falegname. Gli aclisti intendevano consacrare il 1° Maggio a “Gesù lavoratore”, al “Cristo divino lavoratore”, in un’immagine che unificasse il lavoro umano e la partecipazione del lavoratore all’attività creativa di Dio. In questo erano fedeli alla vocazione antica delle Acli come luogo di formazione e di opere sociali a favore delle persone più deboli e indifese, strumento di promozione del lavoro quale valore essenziale di una comunità civile.
D’altro lato, ancor prima del grande Primo Maggio 1955, proprio Pio XII aveva accolto gli aclisti nella basilica di san Pietro, il 14 maggio 1953, dichiarando ai lavoratori il suo «tenero affetto, simile a quello che nutriva e nutre per essi Gesù, il divino Lavoratore di Nazareth».
Di fatto, i militanti e dirigenti aclisti coglievano la contraddizione tra le due pronunce del papa, non riuscendo ad accettare la sua opzione del 1955, con l’accantonamento liturgico di Gesù Divin Lavoratore.
Per il Primo Maggio del 1956, su iniziativa delle Acli milanesi, idearono qualcosa di straordinario che resterà nell’iconografia non solo dell’associazione ma dell’intero paese. L’organizzazione si preparò con il consueto spirito filiale e disciplinato, a celebrare per la prima volta la festa dei lavoratori sotto l’egida di san Giuseppe artigiano, però, quando si trattò di commissionare la statua da presentare nel primo Primo Maggio a contenuto di festa religiosa, come simbolo dell’impegno aclista e di tutti i lavoratori cattolici, fu scelta la figura di Cristo divino lavoratore. La piccola scultura, alta 135 cm, fu realizzata in bronzo dorato da Enrico Nell Breuning e portata in piazza del Duomo a Milano il 1° maggio 1956 dove venne benedetta dall’arcivescovo Montini.
La piazza era gremita e le Acli avevano organizzato con grande solennità quella giornata. La festività liturgica fu accompagnata dai discorsi del presidente del Consiglio Antonio Segni e del presidente centrale delle Acli Dino Penazzato, che colse l’occasione per ribadire la sua linea delle “tre fedeltà”. Uno spirito più internazionale fu dato dalla presenza di 23 delegati stranieri, fra i quali il delegato dell’Azione Cattolica Operaia francese, un lavoratore del Camerun, rappresentanti dalla Cina e dal Vietnam. Era quella che con una certa pomposità il Corriere della Sera avrebbe definito «la Prima Internazionale cristiana».
Un videomessaggio di Pio XII garantì la vicinanza e il sostegno della Chiesa alle Acli. Dopo la messa e il ricordo dei caduti in guerra e sul lavoro, venne benedetta la statua bronzea che ufficialmente rappresentava Cristo divino lavoratore. Le Acli intendevano donare la statua a papa Pio XII, per celebrare l’ottantesimo compleanno che il pontefice aveva compiuto il 2 marzo di quel 1956. Per questo, la scultura fu subito portata in elicottero a Linate, trasferita in aereo a Ciampino e da lì di nuovo in elicottero al sagrato della basilica di san Pietro. Il volo della statua sui cieli di Roma fu un evento memorabile e venne ripreso anche dalla televisione quasi fosse un segno dei tempi.
Nonostante la pioggia scrosciante, gli aclisti attesero per ore, con pazienza, l’arrivo della statua. Il “Divino Lavoratore” fu salutato dalla folla e dal papa, che si affacciò dalla finestra del suo studio per impartire la benedizione alla folla radunata per la festa cristiana dei lavoratori. Il giorno successivo la statua venne benedetta da Pio XII, che la salutò inizialmente come effige di san Giuseppe. Quando l’assistente ecclesiastico centrale degli aclisti, don Luigi Civardi, obiettò che si trattasse in realtà di una statua che rappresentava Gesù, venne alla fine accolto dal pontefice il titolo di “divino lavoratore”, che salvava l’aspetto divino e non ne esaltava quello “classista” che la semplice dizione di “Gesù lavoratore” evocava, con gran timore di teologi e liturgisti del tempo.
Non è difficile sentire in quella “duplice lettura” della stessa statua la sintesi ermeneutica di un dibattito complesso: da una parte il cattolicesimo popolare rappresentato dalle Acli che vedeva in essa con favore ed entusiasmo la raffigurazione di Gesù Lavoratore; dall’altra i vertici della chiesa che mostravano perplessità su quell’identificazione e preferivano la più tradizionale e rassicurante versione del san Giuseppe artigiano.
Nel mezzo di quel dibattito, accadde che il 2 maggio 1956 la delegazione internazionale guidata dal presidente delle Acli Dino Penazzato, in udienza dal papa per la benedizione della statua di controversa identificazione, si ritrovasse ad assistere alla benedizione papale per l’immagine di san Giuseppe artigiano. Papa Pacelli, evidentemente, restava convinto della sua posizione.
La chiesa si muoveva cautamente, ma si muoveva. E anche dalle fila socialiste si apprezzava l’apertura. Il sindacalista e deputato del Psi Fernando Santi scriveva dalle colonne di Avanti!:
Il fatto che i lavoratori cattolici – i lavoratori cioè che ispirano la loro azione sociale agli insegnamenti della Chiesa – festeggiano anch’essi e ufficialmente il Primo Maggio – considerato nel passato recente e remoto come manifestazione dalla quale rifuggire – suggerisce alcune considerazioni che acquistano un particolare sapore nell’attuale momento. In primo luogo viene spontanea la constatazione della inarrestabile evoluzione dei tempi e del sia pur lento e cauto adeguarsi ad essi della Chiesa. In sostanza le idee giuste ed umane – come quella della liberazione del lavoro da ogni sfruttamento, idea che caratterizza, che dà significato appunto alla festa internazionale del lavoro – camminano forte. Camminano anche con le ali degli angeli e le aureole dei santi. Questo vuol dire che si accorciano le distanze fra i lavoratori cattolici ed i lavoratori che militano nelle organizzazioni di classe, e che sempre più si fa strada la consapevolezza della identità degli interessi economici e sociali contro i quali è schierato unito il chiuso mondo dell’egoismo e del privilegio. […] In sostanza, vogliamo le stesse cose, che si riassumono in una condizione umana di vita per gli operai, per i contadini, per gli impiegati, che salvaguardi ed esalti la dignità e la personalità del lavoratore […].
L’edizione milanese di Avanti! del 3 maggio 1956, apriva con l’annuncio in prima pagina: Nella piazza del Duomo di Milano si è aperto il dialogo tra C.G.I.L. e A.C.L.I., lasciando intendere che il popolo delle Acli era attratto da spirito di unione con i lavoratori militanti «nei partiti e nei sindacati di classe» nonostante la «strana favola» raccontata da Penazzato, che invitava i lavoratori tutti a confidare nella guida della chiesa che voleva dare nuovo spazio di speranza alle loro aspirazioni. Il giornale socialista sosteneva che erano i lavoratori cattolici a doversi liberare «dalle ipoteche della Confintesa sul loro stesso movimento» e dalle pericolose aperture verso destra della Democrazia Cristiana.
Si comprende, quindi, la cautela della Chiesa e della presidenza Acli, che non volevano rischiare fraintendimenti e strumentalizzazioni. Il messaggio del pontefice aveva chiaramente ribadito che il dovere e la ragion d’essere delle Acli dovevano essere indirizzati prioritariamente a diffondere il messaggio cristiano di amore e giustizia, non a porsi in concorrenza con altri o a cercare altre vie di solidarietà di categoria. La statua del “Cristo lavoratore” donata al papa doveva simboleggiare questa prospettiva, il che spiega perché sarebbe stata destinata per un periodo alla parrocchia romana intitolata a “Gesù Divino Lavoratore”, nella chiesa voluta e finanziata delle Acli, costruita a piazza della Radio, a meno di un chilometro dall’attuale sede nazionale degli aclisti in via Marcora, dove la statua avrebbe poi trovato definitiva sede.
La singolare storia della statua dai due volti si era allungata di ulteriori capitoli. In occasione del cinquantenario di fondazione dell’Associazione, la statua, caduta nell’oblio, venne tratta da un polveroso scantinato della sede nazionale delle Acli. Il Primo dell’anno successivo, venne portata ancora una volta in piazza san Pietro, dove Giovanni Paolo II – il papa che era stato lui stesso un lavoratore – aveva celebrato la messa di fronte a più di 50.000 fedeli, invitando le lavoratrici e i lavoratori cristiani a restare fedeli all’originaria vocazione di promozione della dignità della persona e di testimonianza del Vangelo .
Dieci anni dopo, nel 2005, sempre il Primo Maggio, la statua, ormai simbolo aclista per eccellenza, sarebbe tornata in piazza San Pietro per le celebrazioni del 60° anniversario della fondazione, alla presenza di papa Benedetto XVI. Alla recita del Regina Coeli da parte di papa Benedetto XVI, da poco eletto, le Acli portarono la statua sopra un baldacchino. Il papa salutò con calore le Acli, chiedendo di non dimenticare le persone che erano senza lavoro, in particolare i giovani.
Il 23 maggio 2015, nel corso dell’incontro con le Acli in aula Paolo VI, papa Francesco è tornato a benedire la statua, che le Associazioni Cristiane dei Lavoratori erano tornate a presentare come statua di Cristo lavoratore e non di san Giuseppe artigiano.
In piena pandemia, papa Francesco ha accolto la richiesta del presidente aclista Roberto Rossini di ospitare la statua, così ricca di mistero e di storia, ma anche di un’istanza profonda riguardante la teologia del lavoro, durante la messa celebrata alle 7 del mattino del Primo Maggio 2020 presso la cappella di santa Marta in Vaticano.
La statua, che era stata posta a fianco all’altare, avrebbe ispirato, poco più di un mese dopo, l’8 giugno, la lettera che il papa ha indirizzato al vicario generale per la diocesi di Roma, il cardinale De Donatis. Vi stabiliva l’istituzione del fondo “Gesù Divino Lavoratore” a sostegno, tramite Caritas diocesana, di tutte le persone colpite dalla crisi economica degli ultimi anni, in particolare per «coloro che rischiano di rimanere esclusi dalle tutele istituzionali e che hanno bisogno di un sostegno che li accompagni, finché potranno camminare di nuovo autonomamente», un fondo che – come lo spirito che aveva fondato il Primo Maggio cristiano – ha scelto la figura del “divino lavoratore” «per richiamare la dignità del lavoro».
Il Primo Maggio del lavoratore cristiano, oggi
Nel frattempo, anno dopo anno, in Italia la festa dei lavoratori è diventata sempre più patrimonio comune e indiscusso. Dal 1990 i sindacati confederali della Cgil, Cisl e Uil hanno istituito la bella tradizione del “concertone” del Primo Maggio. Si tiene ogni anno a Piazza San Giovanni a Roma, con la partecipazione di molti gruppi musicali e cantanti che danno vita ad uno spettacolo trasmesso in diretta televisiva dalla Rai.
Va riconosciuto alle Acli il merito storico di aver favorito l’incontro fra la cultura socialista del movimento operaio e la cultura cattolica del lavoro, radicata nella dottrina sociale della chiesa. Come si è visto, furono in particolare le Acli di Dino Penazzato, caro alla memoria di tutti gli aclisti come “il presidente delle tre fedeltà” (alla classe lavoratrice, alla democrazia e alla chiesa), a creare le condizioni storico-culturali per fare del Primo Maggio la festa condivisa da tutti i lavoratori, a prescindere dalla loro appartenenza culturale, di tradizione socialista, comunista e cattolica.
Bibliografia
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Santi F. Santi F., Abbiamo portato avanti il dialogo con i cattolici, in Avanti!, a. LX, n. s. n. 104, 1 maggio 1956
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Weldemariam H., Tudini F., Nanni A., Raccontare le Acli, in Azione sociale, n. 5, 2005
Primo Maggio: dov’è la festa?