Ma non come macchina

Da Avvenire, Sabato, 8 Settembre 2018, pagine 1-2

In un momento storico di grande disorientamento come quello che stiamo vivendo, papa Francesco continua a costituire un punto di riferimento a cui guarda il mondo intero.

In una lunga intervista uscita ieri su “Il Sole 24 Ore”, il Santo Padre si è rivolto agli imprenditori e al mondo dell’economia proponendo una visione positiva che parte dal primato della persona umana rispetto al profittoe alla efficienza.Per nulla a disagio nel confrontarsi con temi in apparenza lontani, Francesco riesce, ancora una volta, a far vedere come il Vangelo e la Dottrina sociale della Chiesa riescono a offrire una chiave di lettura fondamentale per affrontare i problemi che abbiamo davanti. E se si considerano i consensi che l’intervista ha suscitato, si direbbe che Francesco è stato capacedi cogliere nel segno. La linea del Papa è quella già sviluppata nella Laudato si’. Lo sviluppo tecno-economico contemporaneo ha ormai raggiunto un livello di avanzamento tale da rendere inestricabile l’intreccio tra i rischi e le opportunità. La progressiva distruzione dell’ecosistema, le inaccettabili disuguaglianze nei e tra Paesi, il cronico disordine finanziario, i forti squilibri demografici, i violenti conflitti che intrecciano interessi economici e politici sono tutte problematiche che derivano dalla stessa radice: quella che insiste in modo unilaterale su una concezione individualistica dell’esistenza umana, tutta schiacciata sul piano materiale e su soluzioni di tipo tecnico. Una prospettiva che sottovaluta sistematicamente la portata del problema che dobbiamo affrontare. Che è prima di tutti antropologico e spirituale.

Affermare la primazia dell’uomo e della sua singolare esistenza non è una generica formula retorica, ma un criterio per fissare priorità e trovare soluzioni diverse da quelle prevalenti – che hanno creato la situazione nella quale ci troviamo.

È ormai chiaro a tutti che la crisi del 2008 – di cui ricorrono proprio in questi giorni i 10 anni – ha segnato una discontinuità storica. È vero che da allora le economie di tutto il mondo hanno superato i momenti più difficili, dimostrando una buona capacità di resilienza; ma è altrettanto vero che quelle stese economie non sono più riuscite a risolvere i problemi umani da loro stesse prodotti. Da qui la crescita di un forte malcontento che circola in ampi strati della popolazione, che arriva fino a intossicare la democrazia. La crescente insofferenza nei confronti dei migranti è una manifestazione (preoccupante) di questo clima di tensione.

A sconcertare è soprattutto l’assenza, nel dibattito pubblico, di una risposta positiva, capace di guardare avanti e di scorgere le opportunità che pure la crisi nasconde.

Ma se è così, è perché ci si ostina a guardare il problema nella prospettiva sbagliata. A questo proposito, vale la pena citare un grande pensatore (non credente) come Max Weber, il quale – opponendosi al materialismo marxiano – un secolo fa sosteneva che lo sviluppo economico altro non è che la traduzione materiale della crescita spirituale (e culturale) di un popolo.

Francesco ricorda questa verità: l’economia non è una macchina di cui gli uomini sono gli ingranaggi, che va semplicemente resa più efficiente. Essa è piuttosto una costruzione storico-istituzionale che, con soluzioni diverse nel tempo e nello spazio, serve per accrescere il benessere materiale della popolazione, ma soprattutto per valorizzare quella “genialità creativa” che contraddistingue il genere umano. Per questo il tema del lavoro deve tornare al primo posto: è dal contributo di ciascuno che si deve ripartire.

Alla fine, la crescita economica è solida solo se si fonda sulla crescita delle persone. Né ci può essere crescita economica senza sviluppo sociale e culturale. Che concretamente vuol dire: investimento nella educazione e formazione dei giovani, contratti di lavoro sufficientemente stabili e premiali, ragionevole protezione per i rischi della vita (malattia vecchiaia, etc,), forme di solidarietà sociale basate sulla equa redistribuzione della ricchezza; rispetto dell’ambiente e di tutto ciò che economico non è (a cominciare dallareligione).Se ci pensiamo bene, non passa proprio dalla nostra capacità di dare risposta a tali questioni la sfida che la lunga crisi si portadietro?Da qui, allora, l’invito del Papa: tornare a guardare l’economia a partire dall’uomo è una indicazione quanto mai attuale. Di ciò il mondo ha bisogno come il pane. Dato che per poter navigare nei mari tempestosi della globalizzazione avanzata è necessario tornare a produrre insieme valore (economico, ma anche sociale, relazionale, culturale etc.).

A tutti noi – cristiani e uomini di buona volontà – tocca il compito di rendere questa ispirazione il nuovo modo condiviso di guardare ai problemi di questo tempo. Solo così da una situazione difficile potrà fiorire un nuovo rinascimento. Difficile certo. Ma non è forse proprio la capacità di essere lievito uno dei frutti più preziosi della speranza cristiana?

Mauro Magatti

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Speciale Partite Iva – La tassa non è piatta ma iniqua

Da La nuvola del lavoro – Corriere della Sera

Il dibattito iniziato da Anna Soru in merito al primo nucleo di flat tax che il governo sembra deciso a realizzare in legge di bilancio si arricchisce di alcune novità. Si parla di una modifica del regime forfettario per imprese e professionisti ma con tre aliquote: al 5% per le start up, al 15% per chi consegue compensi fino a 65.000€ e al 20% per quelli fino a 100.000€. Di piatto quindi non c’è niente: sarebbe opportuno smettere di chiamarla flat tax. Nonostante ciò, questa piccola riforma fiscale è comunque preoccupante per le distorsioni che produce fra le diverse forme di lavoro.

L’utilizzo di finte partite IVA per evitare i costi (e le tutele) del lavoro dipendente tornerebbe a farla da padrona. Una sbandierata ancorché presunta convenienza fiscale rappresenterebbe un ottimo alibi per richiedere figure autonome, le quali agirebbero poi in regime di mono-committenza e senza stimolare il lavoro professionale di qualità al quale puntava la legge 81/2017, ad esempio con la deduzione fino a 10.000 per le spese di formazione e aggiornamento delle competenze. Anzi: il regime forfettario da questo punto di vista rappresenta un freno per quanti vogliano sviluppare la propria attività, poiché non consente di dedurre le spese di investimento. Senza considerare lo squilibrio ingiustificabile, riconosciuto anche da Mara Carfagna, che si verrebbe a creare tra la tassazione progressiva sul lavoratore dipendente e quella sostanzialmente proporzionale sul lavoratore autonomo.

Per il Partito Democratico la tassa piatta sul reddito delle persone fisiche è sempre sbagliata poiché trasferisce ricchezza dai ceti medio-bassi ai più alti, facendo un enorme favore a chi oggi ha già i mezzi per proteggere e spesso nascondere i propri capitali. Ma anche il piano proposto dal governo è totalmente da rigettare per gli effetti perversi che scatenerebbe nel mondo del lavoro. Il combinato disposto del decreto “dignità”, che abbassa a 12 mesi la durata dei contratti a termine, e di questo nuovo regime forfettario, spingerebbe l’acceleratore verso una nuova stagione di forte precarietà, in particolare per i giovani.

L’esecutivo tace invece totalmente, a partire dal ministro Di Maio, sulla sorte dei decreti attuativi lasciati in eredità dalla scorsa legislatura. L’equo compenso per i professionisti nei confronti dei grandi committenti e in particolare della pubblica amministrazione, ma soprattutto le previsioni della legge 81/2017 in materia di prestazioni di malattia e maternità, ammortizzatori sociali delle Casse. Norme a lungo attese dal mondo del lavoro autonomo. Mentre mancano concrete risposte sul piano fiscale, richieste da tempo, alcune presenti nel nostro programma di governo. L’estensione degli 80€ alle partite IVA, l’aumento della no-tax area, l’abolizione della doppia tassazione sui rendimenti dei contributi previdenziali, l’allargamento ai professionisti del super-ammortamento degli investimenti e l’incentivo alle aggregazioni e specializzazioni, per creare competitor dei servizi capaci di reggere il confronto nel panorama europeo. La strada da prendere è opposta alla flat tax: occorre una vera riforma dell’IRPEF ma con la riduzione delle aliquote più basse, anziché delle più alte. Si tratta di un modo per abbassare le tasse a tutti, ma proporzionalmente di più alle fasce più deboli. Anziché a quelle ricche e super ricche.

Chiara Gribaudo, responsabile lavoro del Partito Democratico

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