La scrittrice siriana narra la storia di accoglienza del suo Paese d’origine: «Penoso adattarsi al ruolo di rifugiati. Ma sulle rotte dell’esodo sta nascendo una nuova forma di identità personale»
«A volte mi chiedono come mai noi mediorientali ci manteniamo giovani così a lungo – scherza Alia Malek –. Rispondo che sarà merito delle ingiustizie che subiamo, delle oppressioni che si susseguono. Quando si passa da un trauma all’altro, come in Siria accade da oltre un secolo, non si trova il tempo di invecchiare». Ospite in questi giorni del Festival delle Letterature Migranti di Palermo, Alia Malek ha ricostruito le vicende della propria famiglia in Il Paese che era la nostra casa (traduzione di Giovanni Zucca, Enrico Damiani Editore, pagine 448, euro 19,00), un libro che è anche una storia della Siria, di cui la scrittrice è originaria.
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