Dario Di Vico: “Il nuovo disagio ignorato”

Un editoriale di Dario Di Vico sul Corriere della Sera da leggere. Eccone qualche passaggio: il soggetto che per quantità degli interventi e qualità delle motivazioni rappresenta la maggiore novità è il terzo settore, capace di coltivare la sua identità non giocando «a specchio» contro la politica ma intermediando il bisogno delle persone. Perché dedichiamo al mondo del non profit un centesimo dell’attenzione e degli approfondimenti che riserviamo a uno sciopero generale di vecchio conio?

Nel dibattito che si è aperto dopo la proclamazione dello sciopero generale da parte di Cgil e Uil c’è chi, tra gli intellettuali della sinistra italiana, ancor più che applaudire alla piattaforma dei sindacati ha visto in quella decisione soprattutto il valore di un rilancio e di una nuova centralità del conflitto. Ossigeno puro, è stato scritto, rispetto al rischio di un soffocamento della dialettica sociale e, per esteso, della stessa democrazia. Ma davvero corriamo questo pericolo? Si può dire in assoluta coscienza che le società della seconda modernità si caratterizzino per un’assenza di conflitti e per una tendenza all’unanimismo? Credo proprio di no e non lo dico per un pre-giudizio politico di merito ma partendo dal riconoscimento che i fattori oggettivi di conflitto non solo restano in campo ma si allargano nella gamma e nella profondità. Sullo sfondo c’è la difficoltà nella distribuzione di risorse il cui limite quantitativo è ormai strutturale e che solo in questa fase di gestione dell’emergenza Covid è stato temporaneamente messo tra parentesi, grazie alla generosa spesa extra-budget dei governi. Ma se una volta, secondo la nota vulgata, il conflitto distributivo che si proiettava sul terreno politico era prevalentemente quello iscritto nella relazione capitale-lavoro, oggi sappiamo bene che le linee di faglia sensibili riguardano il peso contrattuale e le prospettive delle nuove generazioni, la partecipazione di genere, l’integrazione degli immigrati e, in primo luogo, l’utilizzo razionale delle risorse naturali del pianeta.

Di conseguenza più che piangere per la morte del conflitto l’operazione che la sinistra dovrebbe mettere in campo è quella di lavorare a una nuova mappatura delle contraddizioni sociali che aggiorni la vecchia. Non è un caso che almeno in due materie la gauche italiana si sia dimostrata impreparata e sia stata costretta a correre in affannoso recupero: la povertà assoluta e l’emergenza ecologica. Mentre è rimasta pervicacemente affezionata a una centralità del conflitto capitale-lavoro, nonostante nel frattempo quest’ultimo avesse trovato nel sistema delle relazioni industriali una buona regolazione.

(…)

In assenza di una cultura politica capace di rileggere la mappa dei conflitti della seconda modernità, di mitigare il sentimento di deprivazione relativa e in parallelo di affrontare i nodi irrisolti della giustizia sociale, ci sono rimaste solo le buone pratiche. Esperienze di massa che partono dall’interno della società, si muovono secondo nuovi modelli di mediazione del conflitto che non ricercano il potere di veto ma costruiscono quotidianamente soluzioni e valori di comunità. Una di queste fa riferimento al sistema delle relazioni industriali ma sicuramente il soggetto che per quantità degli interventi e qualità delle motivazioni rappresenta la maggiore novità è il terzo settore, capace di coltivare la sua identità non giocando «a specchio» contro la politica ma intermediando il bisogno delle persone e per questa via, come è accaduto durante la pandemia, arrivando a svolgere quella che Giuseppe Guzzetti ha definito come «una funzione di supplenza delle istituzioni». E allora perché dedichiamo al mondo del non profit un centesimo dell’attenzione e degli approfondimenti che riserviamo a uno sciopero generale di vecchio conio? Forse perché molti, compreso chi scrive, sono ancora legati a un antico paradigma del conflitto, prigionieri dell’idea che la sinistra abbia ancora un diritto di primogenitura, attratti dall’estetica delle contrapposizioni e restii ad ammettere che conflitto e giustizia sociale non sempre sono sinonimi.

Leggi l’articolo su Vita.it del 15 dicembre 2021

Leggi l’articolo integrale su Il Corriere della Sera del 15 dicembre 2021 

 

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Roberto Rossini (Acli): «Noi, minoranza profetica per rinnovare la società»

Il Presidente delle Acli Roberto Rossini si interroga sul rapporto tra cattolici e questioni sociali. Ruoli e nuove sfide nel libro «Più giusto»

leggi l’intervista di Dario Di Vico a Roberto Rossini sul il Corriere Buone Notizie del 17 marzo 2020

scarica l’articolo CORRIERE SERA Rossini Più Giusto 17 03 2020

 

 

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Un Paese, due facce. Perché ora rischiamo di essere retrocessi

Di Vico toglie il velo ad un dato apparentemente incomprensibile: se il Pil è fermo, come fa la disoccupazione a scendere? infatti le ore lavorate diminuiscono. Un Paese, due facce. Perché ora rischiamo di essere retrocessi.

Ieri su Twitter ha conosciuto un discreto successo il commento del profilo satirico Vujadin Boskov che ha inquadrato il doppio dato Istat alla maniera dell’indimenticato allenatore blucerchiato: «Ma se disoccupazione scende e Pil è fermo, nuovi assunti sta tutti in tribuna». È solo una battuta e non va certo presa alla lettera ma le rilevazioni statistiche di ieri, più che alla solita intemerata politica, si prestano a tentare di capire dove sta andando l’economia italiana, caratterizzata da un Pil in piena stagnazione e un’occupazione a livelli alti. Che cosa sta accadendo?

leggi l’articolo di Dario Di Vico su Corriere Economia

 

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Il labirinto italiano del lavoro

Ma per quanto saremo capaci di resistere? È questa forse la domanda implicita nel corteo di ieri, nella sua compostezza e insieme nei suoi silenzi, una domanda che investe l’immediato futuro di quella che si pregia di essere ancora la seconda manifattura d’Europa

leggi l’articolo di Dario Di Vico sul Corriere della Sera

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