Luca Jahier: “Piano d’Azione europeo per l’economia sociale: sarà la svolta?”

Un qualificato commento dell’ex Presidente del CESE, Luca Jahier, sul Piano d’azione europeo per l’Economia sociale della Commissione europea

Piano d’Azione europeo per l’economia sociale: sarà la svolta?

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Di Luca Jahier, già Presidente CESE 2018-2020

Brux, 14 dicembre 2021

“Ogni giorno, quasi 2,8 milioni di entità dell’economia sociale in Europa offrono soluzioni concrete e innovative alle sfide cruciali che stiamo affrontando. Esse creano e mantengono impieghi di qualità, contribuiscono all’inclusione sociale e nel mercato del lavoro dei gruppi svantaggiati e all’eguaglianza di opportunità per tutti, perseguono uno sviluppo economico e industriale sostenibile, promuovono la partecipazione attiva dei cittadini in seno alle nostre società, svolgono un ruolo rilevante nei sistemi di welfare europei e rivitalizzano le aeree rurali e spopolate”.

Con queste parole si apre il Piano d’azione per l’economia sociale, adottato dalla Commissione Europea lo scorso 9 dicembre. Un impegno atteso, previsto in modo esplicito nel Piano di azione per la messa in opera del Pilastro sociale dell’UE, adottato a Lisbona la scorsa primavera, ma soprattutto il coronamento di un percorso iniziato oltre dieci anni fa.

Dieci anni dopo il Social Business Act, siamo di fronte ad un documento di rilevanza strategica, che certifica un significativo salto di qualità nel riconoscimento della realtà e delle enormi potenzialità della multiforme articolazione dell’economia sociale in Europa e nel fissare le direttrici di una rotta per i prossimi dieci anni, pur essendo le principali misure in esso previste (complessivamente 38, di cui 10 di maggiore priorità) concentrate nel prossimo biennio.

Ad una lettura attenta, questo Piano è una svolta vera e così è stato salutato dalle reazioni di tutte gli attori interessati a livello europeo e da molti commentatori.

Principale richiesta della Conferenza di Strasburgo del gennaio 2014, a conclusione della più che prolifica (per l’ES) legislatura della Commissione Barroso, più volte ripresa e rilanciata con molte elaborazioni in documenti, conferenze, paper, azioni di Istituzioni Europee, Piattaforme e documenti del CESE e del Parlamento Europeo, il Piano è stato costruito su una vasta azione di consultazione delle Istituzioni UE, dei Governi, degli esperti, delle Rappresentanze sociali e di oltre 132 contributi specifici presentati nella procedura di consultazione formale, il Piano va persino oltre le migliori attese che si potessero avere.

Peraltro le tre principali proposte contenute nel contributo che Terzjus ha formulato nello scorso mese di aprile (quadro normativo, misurazione dell’impatto sociale e revisione in merito ad appalti pubblici e aiuti di Stato) sono riprese in modo praticamente completo nel Piano.

Questo non è un piano dedicato al consolidamento di un settore, nicchia solida e significativa, ma di fatto ancillare delle politiche pubbliche di welfare e di inclusione sociale e nel mercato del lavoro. Ma è il riconoscimento pieno delle sue potenzialità per il futuro delle politiche sociali e industriali dell’Europa, nel quadro trasformativo e di innovazione in cui siamo già immersi. Vorrei soffermarmi su tre aspetti di questo salto di qualità e delle sfide che vi sono sottese.

1. Il Piano presenta un approccio sistemico, che affronta i nodi strutturali dell’ES, in un innalzamento e allargamento della sua prospettiva di sviluppo, per essere parte traente delle sfide maggiori che l’Europa affronta nelle transizioni verso una economia sostenibile: ecologica, digitale, economia circolare e delle misure sociali di accompagnamento (fair transition). Questo chiede di focalizzarsi complessivamente sull’ Ecosistema che è necessario sviluppare e far crescere, a livello europeo, nazionale, locale e internazionale. Un Ecosistema che, pur tendendo in conto la grande diversità delle forme legali in cui si articola l’economia sociale nei 27 paesi europei, deve fare un necessario salto di qualità per consentire la creazione del quadro più appropriato per il loro sviluppo sostenuto, per esempio in materia di tassazione e di nuove forme di collaborazione transfrontaliera. Per questo, tra le azioni previste, la realizzazione di uno studio che mappi le diverse forme di riconoscimento o label delle forme dell’economia sociala, per identificare migliori pratiche e criteri comuni, anche in materia di tassazione. Con l’obiettivo di arrivare ad una Raccomandazione del Consiglio europeo sulle condizioni di sviluppo dell’ecosistema complessivo nel 2023. Analogamente si procederà alla revisione delle norme specifiche in materia di Aiuti di Stato e sull’allargamento delle possibilità di accesso agli appalti pubblici, che oggi rappresentano il 14% del PIL europeo. Questo per citare le principali misure a questo proposito, prima ancora di scendere nell’ampio numero di azioni per favorire e ampliare le opportunità di accesso alle molte opportunità di finanziamento già esistenti o che dovranno crearsi per coprire i gap già individuati.

2. Il secondo aspetto lo definirei così. Questo non è un piano per migliorare e rafforzare la già ampia, ricca e articolata strutturazione dell’ES e farle semplicemente conquistare nuovi spazi, in una società in trasformazione. Concentrandosi dunque allo sviluppo di misure e finanziamenti dedicati ad un settore da “proteggere” Ma è un piano che lavora molto di più sulle frontiere, sulle contaminazioni, sulle intersezioni, sulla generazione di ciò che non c’è ancora, sulla capacità di innovazione nel prendere il mare aperto della costruzione dell’economia europea di domani, delle sue forme industriali, di protezione sociale, di figure professionali e di partecipazione che ancora non immaginiamo, ma che verranno. Di raccogliere la imponente sfida trasformativa, cui i poteri pubblici, le imprese e il mondo del lavoro sono già chiamati, innestandovi la propria generatività specifica (cooperativa, mutualistica, partecipativa, dalla parte delle componenti più deboli delle nostre società, ecc.) Questo vale sia nei terreni più usuali (i rapporti con le pubbliche amministrazioni) che soprattutto nelle nuove frontiere dei rapporti con il mondo profit, con le imprese del mercato, con la finanza privata, con il mercato digitale, ecc. Per questo lo spostamento, di fatto, dalla relazione prevalente con il solo Pilastro sociale ad una logica che è altrettanto collegata alla nuova direttrice delle Politiche industriali dell’Unione europea, alla costruzione di network, alla nuova tassonomia della Finanza sostenibile, ad un maggiore coinvolgimento della Filantropia privata, allo sviluppo di meccanismi di raccolta di capitali sul mercato privato e co-investimento e così via. Tutti aspetti che richiedono anche uno sviluppo decisivo sia delle capacità di progettazione e gestione, che di metodiche adeguate e largamente condivise e adottate di misurazione dell’impatto sociale.

3. Tutto questo richiede una sfida non solo organizzativa e “imprenditiva” delle diverse organizzazioni, ma anche e soprattutto una sfida formativa. Adeguare e incrementare competenze, per lavorare su terreni inediti; entrare e generare alleanze nuove e oltre le proprie frontiere, anche in ambiti multilinguistici e multiculturali; essere in grado di sposare con decisione la logica di “impatto” delle politiche e degli investimenti e saperla misurare e confrontarsi con i risultati; saper interloquire con la sempre più ampia gamma di opportunità già esistenti nelle diverse linee di finanziamento europeo, ma anche recuperare il gap esistente, purtroppo, nell’essere un soggetto traente nella messa a terra di molti dei Piani di ripresa e resilienza degli Stati membri. Ecco la straordinaria sfida formativa e la necessità di un investimento senza precedenti sui quadri, dirigenti e operatori dell’economia sociale tutta. In questo non mancano gli strumenti e le azioni specifiche che il Piano già elenca, ma che sono soltanto uno stimolo ad una azione assai più diffusa e strutturata, che deve farsi negli Stati, nei territori e nei sistemi delle organizzazioni. Insomma, un investimento massiccio in formazione continua, anche con stage in altri paesi, è l’orizzonte con cui misurarsi.

Vorrei concludere dicendo che il Piano offre una strategia di vera svolta e di questo bisogna essere assai riconoscenti alla Commissione europea, a tutti coloro che ci hanno lavorato e al Commissario Nicolas Schmit che l’ha fortemente perseguita. Ma la svolta si svilupperà solo nei contesti nazionali, locali, delle organizzazioni e delle loro capacità di generare innovazione nelle frontiere, nei territori oggi sconosciuti e nelle alleanze, anche ardite. Così come nella capacità di rappresentanza e comunicazione. Altrimenti non ci sarà svolta, almeno non per parti significative delle organizzazioni attuali dell’economia sociale. Ma ne nasceranno di nuove, che occuperanno e svilupperanno questi spazi immensi. Perché questa rotta è quella necessaria per l’Europa post-pandemica e per quello che dobbiamo trasformare e costruire da qui al 2030 e oltre.

 

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Esclusi ma indispensabili. Il (non) ruolo del Terzo settore nel Recovery Plan

Per la Commissione europea, l’economia sociale e il non profit sono fondamentali per il rilancio dello sviluppo economico. Ma sembra che l’Italia non abbia ancora recepito il messaggio

In un Piano che voglia ricostruire le condizioni per lo sviluppo non solo economico ma anche sociale dell’Italia, il ruolo del Terzo settore e dell’economia sociale dovrebbe messo in primo piano, piuttosto che nascosto tra le righe. Invece nel Pnrr il Terzo settore è citato, in qualche punto, ma senza molta convinzione. Dell’economia sociale nessuna traccia del tutto. Quasi fossero temi estranei al compito, assegnato al Piano, di indicare le strade per rigenerare un Paese stremato.

leggi l’articolo di Gianluca Salvatori su Linkiesta del 6 febbraio 2021

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Unione europea Economia sociale, l’Europa si muove. L’Italia non perda il treno

Si apre una stagione che potrebbe davvero offrire un’occasione irripetibile per aprire finalmente un confronto a livello europeo sul ruolo delle organizzazioni di Terzo settore e sulla necessità di introdurre misure fiscali in grado di riconoscere e valorizzare l’impatto sociale dell’economia sociale. Il Commissario per i diritti sociali e il lavoro e il semestre a guida portoghese sono un’opportunità, ora tocca al Governo italiano

(…) Uso quindi questo spazio per provare a lanciare un appello per passare all’azione sul piano politico e sulla necessità di farlo adesso. Troppe volte i politici europei hanno parlato di investimenti ad impatto sociale, delegando al settore privato e ad una aspettativa filantropica, il compito di agire le leve finanziarie per realizzare innovazione sociale.

leggi l’articolo di Giuseppe Guerini, Presidente Cecop-Cipoca Europe, su Vita.it del 09 dicembre 2020

https://twitter.com/FedSolidarieta/status/1337677129379622913?s=20

 

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Il Papa ai giovani economisti di Assisi: «Terzo settore e filantropia possono essere palliativi»

Così Papa Francesco: “Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che «l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista» e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici»

leggi su Vita.it del 21 novembre 2020 l’intervento del Papa con videomessaggio a conclusione di ‘The Economy of Francesco’ al Forum di Assisi

 

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Apprendistato e tirocini: cosa aspettiamo a fare la stessa cosa utilizzando le risorse di Next Generation Eu?

Cosa aspettiamo a fare la stessa cosa utilizzando le risorse di Next Generation Eu?

 

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L’economia sociale? Sempre più strategica in Europa

«Se l’ambizione di realizzare davvero il Pilastro Sociale vuole essere concreta ora serve la promozione di forme di collaborazione inclusiva tra Istituzioni Pubbliche e attraverso provvedimenti che sostengano davvero forme di programmazione, progettazione e gestione partecipata e condivisa», sottolinea Giuseppe Guerini, presidente di CECOP-CICOPA Europe

“Nel mio intervento ho sottolineato che effettivamente l’intero pacchetto relativo al Public Procurement del 2014 rappresenta un punto di svolta importante nell’orientamento delle politiche dell’Unione Europea in tema di regolazione dei mercati e di riconoscimento del ruolo delle imprese dell’economia sociale. Anche se molto rimane da fare rispetto ad una piena attuazione sul piano operativo sia nelle normative degli Stati membri, sia nell’applicazione da parte delle autorità locali.”

leggi l’articolo di Giuseppe Guerrini su Vita.it

 

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