di Luigi Bobba, Presidente di Terzjus, e Maurizio Drezzadore
Nati nel 2010 con l’obiettivo di far sorgere una filiera formativa a carattere terziario ispirata al modello delle Fachhochschulen tedesche e delle Scuole Universitarie Professionali svizzere, i percorsi ITS (Istituti Tecnici Superiori) sono stati regolamentati con durata biennale e triennale, con l’obbligo di prevedere almeno il 30% delle ore in stage aziendale e almeno il 50% delle ore assegnate a docenti provenienti dal mondo del lavoro. È stata questa la risposta del sistema di istruzione, fortemente voluta da Confindustria, alla fase di straordinari mutamenti tecnologici che stanno modificando strutturalmente il sistema socioeconomico italiano.
Con un alto tasso di occupazione – attorno all’80% – con capacità di cogliere le tendenze al cambiamento dei processi economici e con una significativa flessibilità, i percorsi di ITS hanno conosciuto una forte legittimazione ed un esteso riconoscimento. Ben presto tuttavia si è dovuto cominciare a fare i conti con alcuni limiti strutturali. In primis, il modesto numero di giovani coinvolti nell’offerta formativa, risultanti 13.381 nel maggio del 2019 (ultimo rapporto disponibile del Miur); dato che evidenzia ben tre criticità: la scarsità di risorse impiegate, la complessità del sistema organizzativo (strutturato in fondazioni con non pochi problemi di patrimonializzazione, di governance ed elevati costi di gestione) e l’irrisolta competitività con la laurea breve, titolo che mantiene una forte attrattività vista l’analoga durata dei percorsi formativi. Ulteriore criticità riguarda i percorsi finanziati che nel 2019 sono stati 139, incardinati in 73 fondazioni, ciascuna con un proprio consiglio d’amministrazione. Visto che non si arriva mediamente a due percorsi per fondazione, si tratta di una macchina con tanti piloti (quante sono le componenti di gestione previste dalla legge: Università, Istituti superiori, Centri di formazione professionali, imprese), con tanti costi, ma con ben poca benzina per correre. Va altresì ridimensionato il dato circa il successo nell’inserimento lavorativo, poiché oltre il 60% dei contratti di lavoro stipulati al termine dei percorsi è costituito da tempi determinati o da lavoro autonomo in regime agevolato.
Nonostante la spinta esercitata dagli Enti di Formazione Professionale per consentire l’accesso agli ITS dei propri iscritti, solo il 9% proviene dal sistema della IeFP, ovvero di giovani che hanno conseguito il diploma quadriennale, più il quinto anno. Né sembra facile immaginare che venga accolta la proposta degli stessi Enti di Formazione Professionale, rivolta a consentire l’accesso agli ITS con il semplice diploma professionale quadriennale, visto che gli ITS si configurano come formazione terziaria, con ammissione tramite la maturità quinquennale. Si deve ulteriormente aggiungere che gli esiti valutativi sull’intera offerta formativa degli ITS, evidenziano come solo il 53% dei percorsi supera la sufficienza e il 24% viene classificato con una valutazione problematica o critica. Se al proprio nascere questa offerta formativa rappresentava una assoluta novità, oggi ci troviamo di fronte ad una molteplicità di proposte. La vera svolta infatti si è avuta alla fine del 2015, con l’introduzione nel nostro ordinamento del sistema di formazione duale; tale novità ha sottratto agli ITS il primato di essere l’unico percorso di istruzione con apprendimento on the job.
Oggi, disponendo delle risorse del programma Next Generation Eu, dobbiamo scegliere come allocarle e ancor di più come riorganizzare i sistemi formativi. La proposta, che qui sinteticamente viene esposta, mira a qualificare la formazione dei giovani avvicinandoli, sempre di più, a competenze innovative sia nell’ambito digitale sia nelle filiere dello sviluppo sostenibile, ma anche alla presa in carico di una parte della vasta platea dei NEET e al contrasto alla disoccupazione adulta attraverso la riqualificazione delle figure professionali obsolete.
Innanzitutto, va ripristinato un monte ore adeguato di apprendimento in contesto di impresa attraverso l’alternanza scuola-lavoro negli istituti secondari; va inoltre rafforzato, sia per la IeFP che per gli Istituti Tecnici e Professionali, il ricorso all’apprendistato di primo livello. Per l’apprendistato formativo, nella versione del PNRR di fine febbraio, venivano stanziate risorse per 600 milioni con un sostanziale raddoppio del numero dei giovani coinvolti nei percorsi duali e l’avvio di ulteriori 11.000 contratti di apprendistato formativo.
Relativamente agli ITS ed IFTS, sempre nel PNRR, vengono allocati circa 1,5 miliardi con i quali si possono sia aumentare consistentemente i percorsi ITS sia allargare gli interventi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore, completando così la verticalizzazione della filiera della IeFP con il quinto anno e offrendo nuove opportunità di inserimento lavorativo ai NEET. In entrambi i casi è utile ricorrere all’apprendistato formativo.
Infine, relativamente agli interventi di reskilling, con la legge 34 del 2020 è stato creato il Fondo nuove competenze con una dotazione di 730 milioni, che potranno essere ulteriormente aumentati di 1 miliardo per effetto del PNRR. Si tratta di interventi di riqualificazione di lavoratori occupati a sostegno dei processi di innovazione delle aziende in uscita dalla crisi pandemica. La misura finanzia all’impresa, attraverso un programma dell’ANPAL, il costo del lavoratore per l’intero monte ore di formazione.
La presa in carico da parte del PNRR di queste proposte rappresenterebbe non solo un efficace intervento a sostegno della ripresa, ma significherebbe anche dare un nuovo e più efficiente assetto all’insieme dei sistemi formativi, superando gli storici ritardi di cui soffre il nostro Paese e avviando la costruzione di solidi processi di integrazione tra le politiche attive del lavoro, i servizi di collocamento e gli interventi di formazione.