Diritto di voto da e fino a quando: la via è includere, non escludere

Da quando ormai tre lustri fa le Acli (era il 2004 e alla presidenza di quella grande associazione c’era Gigi Bobba) lanciarono la proposta di riconoscere il diritto di voto ai sedicenni, il dibattito si accende, si spegne e si riaccende in modo ciclico. Sarei contento di vederlo arrivare a conclusione, per questo oltre a far sviluppare il consueto lavoro di cronaca e approfondimento sulla questione ho deciso di dare forte rilievo alla stimolante riflessione che il professor Bruni ha sviluppato da par suo.

leggi la lettera al Direttore de L’Avvenire del 19 ottobre 2019

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L’ecumenismo come programma della Chiesa in uscita

Una mia conversazione con Giacomo Galeazzi, giornalista de La Stampa, sullo stato dell’ecumenismo nel pontificato di Papa Francesco

E’ nel superamento della “scandalosa separazione fra cristiani” che si realizza la missione del pontificato di Francesco

leggi l’articolo Giacomo Galeazzi per In Terris

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Bobba: una proposta di legge del 2013 per il diritto di elettorato attivo ai cittadini che hanno compiuto il sedicesimo anno di età

La proposta di Enrico Letta di estendere la partecipazione al voto anche ai sedicenni, ha riacceso un dibattito che non è nuovo.

Nel marzo del 2013, proprio all’inizio della legislatura, insieme al collega Dario Nardella – oggi Sindaco di Firenze – depositammo alla Camera una proposta di legge per consentire ai sedicenni di votare per il Sindaco e il Consiglio comunale della propria città.

La proposta nasceva dalla constatazione del progressivo invecchiamento dell’elettorato italiano. Citavo, nella relazione di accompagnamento, uno studio dell’Università Cattolica di Milano nel quale si prevedeva che “entro il 2020 gli elettori di età inferiore ai 35 anni saranno oltre tre milioni in meno rispetto a quelli con più di 65 anni”. Ora il 2020 è ormai alle porte e la previsione formulata più di sei anni fa, si è rivelata del tutto veritiera. Ne deducevo che un elettorato sempre più anziano avrebbe fortemente condizionato le priorità di scelta dei partiti. Infatti, le elezioni si vincono con il consenso della maggioranza dei cittadini, per cui i partiti sono inevitabilmente spinti ad assecondare le richieste dei gruppi – anche quelli di età – più numerosi. Non è un caso che nell’ultimo decennio, il maggior numero di cittadini che vive sotto soglia di povertà assoluta si sia concentrato non più tra gli anziani bensì tra i minori che sperimentano oggi in condizioni di maggior svantaggio nell’accesso ai beni essenziali per una vita dignitosa.

La mia proposta, rispetto a quella di Letta, era forse meno ambiziosa ma più realistica e praticabile. Una possibilità che, come aveva argomentato un autorevole vercellese, – il Prof. Giovanni Bollea, una vita dedicata ai bambini e ai giovani – poteva costituire un’utile “prova” per far sentire questi giovani dei cittadini a pieno titolo, appartenenti innanzitutto ad una comunità locale e in grado di incidere sul destino della stessa.

La seconda ragione risiede nel fatto che questa “prova” potrebbe diventare un volano per  spingerli a prepararsi più adeguatamente, con il raggiungimento della maggiore età, all’accesso al voto per le elezioni politiche.

Ragioni che mi paiono ancora oggi convincenti per evitare che la proposta di Letta si riduca ad un fuoco di paglia e i giovani, proprio perché minoranza numerica, diventino sempre più marginali nelle competizioni elettorali. Cominciamo dunque a far votare i sedicenni per il proprio Sindaco: sarà un primo passo nella giusta direzione.

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Luigi Bobba: riflessioni “post Renzi”

Ho atteso qualche giorno per mettere nero su bianco qualche pensiero dopo la scissione di Renzi dal PD.

Dico subito che non lo seguirò, pur avendolo sostenuto come segretario del Pd nel 2013 e aver fatto parte del governo da lui guidato. Non rinnego nulla, anzi sono orgoglioso di quanto abbiamo fatto nei governi Renzi e Gentiloni nei quali ho avuto l’onore di ricoprire l’incarico di sottosegretario al Lavoro.

Non mi iscrivo certo tra coloro che non vedevano l’ora che Renzi togliesse il disturbo, ma neppure tra quelli che fanno spallucce pensando che questa scissione poco cambierà le cose nel partito, nel governo e forse anche nel Paese. Ho creduto al Pd come partito popolare, riformista, europeista e di sinistra fin dall’inizio. Non ho seguito Rutelli nel 2009 anche se caldamente invitato a farlo. Ho considerato un errore l’abbandono di Bersani e Speranza. Ma oggi che cos’è il PD e cosa vuole diventare? Renzi ha preso la sua strada, Calenda e Bonino ambiscono a fare qualcosa insieme, Bersani invoca una cosa nuova a sinistra. E noi? Ma il PD non era nato proprio come partito plurale, come argine al frazionismo tipico del sistema politico italiano? Il PD, come affermò Veltroni,non era il partito a vocazione maggioritaria? Esiste una terza via tra la pura e semplice prosecuzione della”ditta” e il comitato elettorale all’americana? A queste domande, oggi chi resta nel PD ha il dovere di dare una risposta. Perché se la prospettiva è una riedizione aggiornata del pentapartito (PD, LeU, Renzi, +Europa e Calenda) allora quel progetto di fare un partito che avesse come orizzonte il futuro del Paese con gli occhi dei nostri figli e nipoti, è fallito. Se non vogliamo rassegnarci a questa lenta ma inesorabile deriva, ci sono tre scelte essenziali da compiere.

Primo non rinunciare ai nostri valori. Non sono d’accordo a costruire una casa comune con i grillini. Una cosa è un’alleanza di governo per fermare l’ondata sovranista; un’altra è affermare e comunicare una nostra originale identità valoriale e programmatica.

Secondo, quella sintesi tra un partito radicato nella tradizione europea ma altresì rinvigorito da strumenti di democrazia diretta come le primarie, è ancora in gran parte da costruire. Per ora è rimasto una grande incompiuta.

Terzo: se assecondiamo la spinta proporzionalistica, il futuro del PD è segnato. Dunque torniamo al maggioritario e non abbandoniamo la prospettiva delineata dalla riforma costituzionale.

C’è da mettersi in cammino. Il viaggio non sarà breve, ma procediamo senza fretta ma anche senza sosta.

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“Global Inclusion”: a FICO l’evento su inclusione, diversità e lavoro

“Global inclusion – Generazioni senza frontiere”: gli stati generali dell’inclusione nel lavoro. 150 imprese, decine di associazioni, 9 tra Università e scuole italiane, 750 lavoratrici e lavoratori si incontrano per condividere le best practice su diversity & inclusion

leggi l’articolo su Affaritaliani del 11 settembre 2019

 

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GLOBAL INCLUSION. GENERAZIONI SENZA FRONTIERE (Bologna, 11 settembre 2019)

Propongo tre brevi riflessioni per esplicitare il significato e gli obiettivi dell’evento dell’11 settembre a Bologna “Global Inclusion. Generazioni senza frontiere

Milton Friedman, il principale esponente della scuola di Chicago, premio Nobel per l’economia, era solito ripetere che l’unica responsabilità sociale delle imprese era fare utili per accrescere i dividendi per gli azionisti. Questa dottrina è stata di recente sconfessata da un documento presentato nella recente sessione della Roundtable che riunisce 180 Ceo delle più importanti imprese americane. In quel consesso è stata impressa una “svolta etica” alla cultura d’impresa. Non basta più semplicemente generare profitti, occorre creare valore, ovvero tenere insieme sostenibilità economica, sociale e ambientale nella gestione delle imprese.

Ebbene, Global Inclusion è stato pensato prima della sessione della Roundtable, ma il cuore del messaggio coincide proprio con quanto là si è sostenuto: le imprese di successo sono anche quelle più inclusive, ovvero quelle che perseguono tutti e tre i fattori della sostenibilità.

C’è un secondo elemento di originalità nella manifestazione dell’11 settembre: il riferimento all’art. 3 della Costituzione. Ci si potrebbe domandare: ma cosa centrano le imprese e la cultura d’impresa con l’art. 3 della Carta costituzionale? Osservo che i padri e le madri costituenti non si limitarono ad un’affermazione solenne della pari dignità di ogni cittadino di fronte alla legge senza alcun tipo di discriminazione, ma nella seconda parte affermarono che è compito della Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono una piena eguaglianza e l’effettiva partecipazione dei lavoratori…; È compito della Repubblica, non dello Stato, dell’Amministrazione pubblica, ma di tutte le componenti che costituiscono la nostra Repubblica: le istituzioni, le imprese, il terzo settore, i cittadini, i lavoratori. Ecco la Repubblica siamo noi, potremmo dire parafrasando Francesco Degregori. Global Inclusion si propone sia di riconoscere a ogni persona la propria dignità sia di contribuire a rimuovere tutto ciò che produce esclusione e diseguaglianze.

Infine, come si può evincere dal programma, protagonisti di Global Inclusion saranno anche una trentina di Enti del terzo settore. Questo, per la mia storia personale e i ruoli  pubblici che ho ricoperto, rappresenta un fattore fondamentale di novità. Credo che la contaminazione tra profit e non profit possa costituire una condizione basilare per generare innovazione sociale, cioè cultura, comportamenti e pratiche perché l’inclusione non resti un astratto principio ma linea guida nella gestione delle imprese. Il grande studioso Ralf Darendhorf affermava che la democrazia e l’economia di mercato non bastano.  La libertà ha bisogno di un terzo pilastro per essere salvaguardata: la società civile. La caratteristica essenziale della società aperta è che le nostre vite si svolgono in “associazioni”, ovvero in spazi di azione che né lo stato né il mercato possono assicurare. E allora l’alleanza tra profit e non profit può essere generativa di una comunità più solidale e dello sviluppo di un’economia civile.

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Delega sul Terzo settore a Bobba? Il non profit vota sì

Nelle ore in cui Conte e i vertici di 5 Stelle, Pd e Leu stanno definendo la squadra dei sottosegretari e viceministri che dovranno affiancare i 21 ministri che hanno votato ieri, i vertici di tre grandi organizzazioni (Misericordie, Anpas e Acli) si augurano il ritorno del “padre” della riforma del Terzo settore: «Sarebbe una garanzia per portare a termine un iter che negli ultimi 14 mesi è finito su un binario morto»

leggi l’articolo su Vita.it

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Svolta e novità sì, ma ora si lavori soprattutto per i giovani e il futuro

Ospitiamo con piacere un intervento di Luigi Bobba, già sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, relativo al nascituro Governo Conte bis. Si tratta di una riflessione ad ampio raggio che verrà pubblicata sulla rivista “Vita”, testata specifica del Terzo Settore, e che Luigi Bobba ha voluto condividere con i lettori di Notizia Oggi Vercelli.

D.G.

leggi l’intervista su Notizia Oggi del 2 settembre 2019 

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Da “mostro” a “governo di necessità” Il Conte Bis visto dai politici vercellesi

«Anche se le due forze principali di questo nuovo governo – spiega Bobba – si sono combattute aspramente, questo stato di necessità giustifica una scelta simile, seppur rischiosa, ma che può rimettere in carreggiata un Paese che esce da un governo disastroso e da una deriva sovranista che ha isolato l’Italia. Conteranno le scelte programmatiche e le persone»

leggi l’articolo de LaStampa del 30 agosto 2019

 

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