Da La nuvola del lavoro – Corriere della Sera
Il dibattito iniziato da Anna Soru in merito al primo nucleo di flat tax che il governo sembra deciso a realizzare in legge di bilancio si arricchisce di alcune novità. Si parla di una modifica del regime forfettario per imprese e professionisti ma con tre aliquote: al 5% per le start up, al 15% per chi consegue compensi fino a 65.000€ e al 20% per quelli fino a 100.000€. Di piatto quindi non c’è niente: sarebbe opportuno smettere di chiamarla flat tax. Nonostante ciò, questa piccola riforma fiscale è comunque preoccupante per le distorsioni che produce fra le diverse forme di lavoro.
L’utilizzo di finte partite IVA per evitare i costi (e le tutele) del lavoro dipendente tornerebbe a farla da padrona. Una sbandierata ancorché presunta convenienza fiscale rappresenterebbe un ottimo alibi per richiedere figure autonome, le quali agirebbero poi in regime di mono-committenza e senza stimolare il lavoro professionale di qualità al quale puntava la legge 81/2017, ad esempio con la deduzione fino a 10.000 per le spese di formazione e aggiornamento delle competenze. Anzi: il regime forfettario da questo punto di vista rappresenta un freno per quanti vogliano sviluppare la propria attività, poiché non consente di dedurre le spese di investimento. Senza considerare lo squilibrio ingiustificabile, riconosciuto anche da Mara Carfagna, che si verrebbe a creare tra la tassazione progressiva sul lavoratore dipendente e quella sostanzialmente proporzionale sul lavoratore autonomo.
Per il Partito Democratico la tassa piatta sul reddito delle persone fisiche è sempre sbagliata poiché trasferisce ricchezza dai ceti medio-bassi ai più alti, facendo un enorme favore a chi oggi ha già i mezzi per proteggere e spesso nascondere i propri capitali. Ma anche il piano proposto dal governo è totalmente da rigettare per gli effetti perversi che scatenerebbe nel mondo del lavoro. Il combinato disposto del decreto “dignità”, che abbassa a 12 mesi la durata dei contratti a termine, e di questo nuovo regime forfettario, spingerebbe l’acceleratore verso una nuova stagione di forte precarietà, in particolare per i giovani.
L’esecutivo tace invece totalmente, a partire dal ministro Di Maio, sulla sorte dei decreti attuativi lasciati in eredità dalla scorsa legislatura. L’equo compenso per i professionisti nei confronti dei grandi committenti e in particolare della pubblica amministrazione, ma soprattutto le previsioni della legge 81/2017 in materia di prestazioni di malattia e maternità, ammortizzatori sociali delle Casse. Norme a lungo attese dal mondo del lavoro autonomo. Mentre mancano concrete risposte sul piano fiscale, richieste da tempo, alcune presenti nel nostro programma di governo. L’estensione degli 80€ alle partite IVA, l’aumento della no-tax area, l’abolizione della doppia tassazione sui rendimenti dei contributi previdenziali, l’allargamento ai professionisti del super-ammortamento degli investimenti e l’incentivo alle aggregazioni e specializzazioni, per creare competitor dei servizi capaci di reggere il confronto nel panorama europeo. La strada da prendere è opposta alla flat tax: occorre una vera riforma dell’IRPEF ma con la riduzione delle aliquote più basse, anziché delle più alte. Si tratta di un modo per abbassare le tasse a tutti, ma proporzionalmente di più alle fasce più deboli. Anziché a quelle ricche e super ricche.
Chiara Gribaudo, responsabile lavoro del Partito Democratico