L’intervista di Eleonora Capelli a uno dei padri dell’Ulivo: “Questa costituente è un gran pasticcio, ma non posso disinteressarmene”, La Repubblica del 21 dicembre 2022
“Stanno riportando il Pd nella casa le cui fondamenta sono state messe a Livorno nel 1921, questa costituente è un gran pasticcio. Ma il partito è come un figlio: anche se tentato, non posso abbandonarlo alla sua sorte”. Arturo Parisiè davvero uno dei padri dell’Ulivo e del Pd. Prodiano, classe 1940, in gioventù dirigente di Azione Cattolica, è stato professore di sociologia, ha diretto il Cattaneo e fatto parte del Mulino. È stato in parlamento per 4 legislature e ha avuto il ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con il premier Romano Prodi. Oggi non può restare indifferente di fronte al disagio espresso dagli ex Popolari come Pierluigi Castagnetti, che minacciano di lasciare il partito. E così interviene nel dibattito sulla crisi del centrosinistra che prosegue sulle pagine di Repubblica e sul nostro sito.
Parisi, come giudica l’attuale fase costituente del Pd, soprattutto in merito al fatto di rimettere in questione i valori di fondo, anche dopo le parole di Castagnetti sul disagio in cui si può trovare una parte dei fondatori?
“Già parlare di “costituente” per un partito che risulterebbe “costituito” oramai da quindici anni definisce il problema che l’iniziativa perseguita da Letta ha aperto al Pd. Valori di fondo, manifesto, sono infatti parole che trovano il loro senso, o invece non ne hanno alcuno, se si ricorda che il cosiddetto Congresso in corso non è il Congresso del Pd ma occasione per la fondazione di un nuovo partito. Un partito figlio dell’unione del vecchio Pd e di Articolo Uno, il partito politico costituito cinque anni fa da D’Alema e Bersani e che ha come segretario Speranza. Un nuovo partito figlio del ritrovamento, uso le parole che sento usare, di una “comunità” che allora si era divisa nei due diversi e, per qualche tempo, contrapposti partiti e che ora si ricongiunge. Detto questo, aggiungo che l’iniziativa di Letta è stata non solo approvata con atti formali dagli organi del Pd, ma acclamata all’unanimità come è uso consolidato del partito. E per ognuna di queste proposizioni aggiungo: purtroppo”.
Quindi secondo lei questo nuovo partito che sta nascendo in qualche modo si allontana dagli assunti originari del Pd?
“Fondato com’è sul ritrovarsi della “comunità” di quella sinistra che si sente originata a Livorno dalla secessione comunista dal Partito Socialista, il nuovo partito è l’antico partito che certo si apre a nuovi apporti come è capitato altre volte nella storia del comunismo italiano. Ma sulla porta della casa, al di là della targhetta, torna a leggersi un nome figlio di una storia con non poche pagine gloriose, ma una storia che la fondazione del Pd intendeva superare per aprire una storia nuova. Una storia nuova figlia di un nuovo inizio, non la continuazione di una passata, né la semplice somma di storie tra loro non solo diverse ma orgogliosamente contrapposte”.
Quindi per il Pd il tentativo di unire le due culture per una sintesi originale è fallito, secondo lei?
“Fallito? Chi avrebbe mai scommesso un centesimo sul fatto che a promuovere un nuovo partito nel quale potesse ritrovarsi la “comunità” della antica sinistra sarebbero stati due democristiani come Letta e Franceschini, con l’apporto, almeno ma non solo a Bologna, di un democristiano orgoglioso come Casini? Certo una cosa è comporre gli organigrammi sommando le componenti. Tutta un’altra sommare le cosiddette culture. Ed è soprattutto un’altra farlo tra la gente, combinandole e aprendole agli apporti crescenti che non hanno mai avuto niente a che fare con nessuna delle due componenti. Se il Pd è fallito, aggrappato all’ottimismo della volontà aggiungo, finora, è stato proprio perché a chi immaginava un partito figlio di una sola storia, si sono affiancati quelli che hanno pensato di risolvere il problema raccontandolo come figlio della somma di due componenti figlie di storie diverse. Messo così, invece di migliorare, il problema si è aggravato. Non è aggiungendo sui muri delle vecchie sezioni tra le gallerie dei ritratti il volto dolente di Moro che si risolve il problema. E neppure evocando Zaccagnini tra i giusti assieme a Berlinguer si garantisce la giustezza del partito”.
Vuol dire che tre democristiani stanno riportando la sinistra a Livorno, cioè al 1921 quando è nato il partito comunista?
“Lasciamo da parte il mitico Casini che si è solo accodato alla fine. E diciamo meglio: stanno riportando il Pd nella casa le cui fondamenta sono state messe a Livorno. Non è peraltro una idea originale”.
Cosa pensa del comitato degli 87 o forse degli 85, visti i primi addii?
“Quello che ho detto. Mi sembra un gran pasticcio. A meno che lo si riconosca come il “comitato costituente” di un nuovo partito, chiamato come minimo a correggere una partenza sbagliata, e per questo motivo guidato come “garanti” alla pari da Letta e Speranza, segretari dei due partiti promotori. Non è un caso che Zanda abbia giustificato le sue dimissioni proprio col fatto di “non aver condiviso la scelta di chiamare costituente quella commissione di lavoro in cui era stato inserito”.
Lei a questo punto non si sente più rappresentato dal partito?
“Io penso che i partiti, nella misura in cui sono democratici, non sono nostri padri, ma nostri figli. Soprattutto chi ha la responsabilità di aver contribuito a metterli al mondo, anche se tentato dall’abbandonarli ad un destino che sembra fatale, non può disinteressarsi della loro sorte”.